POLITICA ESTERA: ECCO I NUOVI ATTORI IN UNA INDAGINE DEL SIPRI
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POLITICA ESTERA: ECCO I NUOVI ATTORI IN UNA INDAGINE DEL SIPRI

POLITICA ESTERA: ECCO I NUOVI ATTORI IN UNA INDAGINE DEL SIPRI

Equilibri internazionali
POLITICA ESTERA: ECCO I NUOVI ATTORI IN UNA INDAGINE DEL SIPRI
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Pechino, 17 set.- "L'elemento più interessante che emerge dalla nostra indagine è che oggi, in Cina, esiste una pluralità di voci che cercano di influenzare la politica estera. In che misura i loro suggerimenti vengano poi recepiti e tradotti in azioni effettive è molto difficile da stabilire": Linda Jakobson, ricercatrice del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), presenta così ad AgiChina24 il suo nuovo dossier. Jakobson vive in Cina da più di 15 anni, ha scritto sei libri sulla politica cinese, ed è oggi direttrice del China and Global Security Programme del SIPRI, uno dei più importanti think tank al mondo. "New Foreign Policy Actors in China" è il frutto di oltre  un anno di ricerche e interviste "off the records": grazie anche al sostegno del ministero degli Esteri finlandese, lo staff di ricercatori SIPRI è riuscito a conversare con più di una settantina di funzionari politici, accademici, giornalisti, uomini d'affari e blogger cinesi, che hanno tracciato un profilo per molti versi inedito dei processi decisionali del Dragone sullo scacchiere internazionale. "Siamo di fronte a una frammentazione nella formulazione della politica estera cinese - spiega Jakobson - e l'emergere di questi nuovi attori, insieme ai cambiamenti intervenuti all'interno dell'apparato decisionale ufficiale, significa che gli stranieri non si troveranno più a negoziare solamente con una certa agenzia governativa o con un certo organo di partito. Tutto ciò si riflette anche in diversi approcci all'internazionalizzazione: se da un lato, ad esempio, il ministero del Commercio, alcuni governi locali e alcune importanti aziende di Stato spingono per un maggiore ruolo internazionale della Cina, dall'altro istituzioni come la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme vogliono ridurre la dipendenza della Cina dai mercati esteri e il ministero della Sicurezza di Stato teme che una sempre maggiore diffusione dei valori occidentali possa minare l'autorità del Partito Comunista".


L'apparato ufficiale


Le decisioni definitive vengono prese dall'organo più importante del Partito Comunista Cinese, la Commissione Permanente del Politburo: si presume che i 9 appartenenti al Gotha del PCC si incontrino con regolarità, ogni 7-10 giorni, per discutere le più importanti questioni di politica interna ed estera. Anche se le decisioni vengono prese all'unanimità, la maggior parte degli intervistati del SIPRI concordano nell'affermare che il ruolo giocato da Hu Jintao e Wen Jiabao sia centrale in qualsiasi decisione di politica estera. Un esempio? Sembra che nel 2006, quando la Corea del Nord riavviò il suo controverso programma nucleare, Hu Jintao scrisse di suo pugno il comunicato con la reazione ufficiale cinese, in quanto nessuno degli altri membri intendeva prendersi la responsabilità di una questione così scottante. La Commissione Permanente ha l'ultima parola anche su decisioni a carattere economico ma dalle ovvie ripercussioni politiche: quando, sempre nel 2006, la Cina si trovò a scegliere di acquistare i reattori nucleari dai francesi di Areva o dagli americani di Westinghouse, la scelta ricadde su quest'ultima per placare i malumori statunitensi sugli squilibri della bilancia commerciale tra le due nazioni; il placet di Hu, inoltre, fu ancora una volta fondamentale. Nessuno dei membri della Commissione Permanente ha un incarico specifico sulla politica internazionale, pertanto tutti gli attori di rango inferiore dell'apparato ufficiale possono provare a influenzarne le scelte, conducendo talvolta a decisioni che il direttore di un think-tank cinese di supporto al governo non esita a definire "goffe, disordinate e inefficienti".


I "Leading Small Groups" sono una delle chiavi che consentono di esercitare questa influenza: si tratta di una assemblea ristretta formata da un membro della Commissione Permanente più altri funzionari di alto livello del Politburo; "Molti dei nove della Commissione non hanno dimestichezza con le complesse questioni internazionali - dicono i ricercatori SIPRI - e devono pertanto fare affidamento sull'esperienza dei membri delle LSG". Gli esperti intervistati nel dossier concordano sul fatto che la LSG dedicata agli affari internazionali sia una delle principali fucine della politica estera del Dragone: nonostante l'appartenenza a queste camarille sia segreta - e notizie su chi ne faccia parte effettivamente filtrino sui media cinesi solo di tanto in tanto - è qui che emerge il ruolo centrale occupato dal Consigliere di Stato Dai Bingguo, presunto presidente di quest'organo, che in molti indicano come l'uomo responsabile di formare l'agenda internazionale che poi verrà passata alle altissime sfere della Commissione Permanente. Ma se finora abbiamo menzionato esclusivamente organi del Partito Comunista, non è possibile escludere l'altro apparato che forma in parallelo l'ossatura della politica cinese, creando delle sovrapposizioni continue sempre complesse da decifrare: il governo - o Consiglio di Stato - e tutte le sue articolazioni di livello più basso hanno comunque un ruolo importante nei processi decisionali. Molti osservatori, però, ritengono che negli ultimi anni l'importanza del ministero degli Esteri si sia andata  progressivamente assottigliando per due ragioni: "Il crescente ruolo internazionale della Cina ha portato alla proliferazione di altri centri decisionali della cui expertise il ministero si deve avvalere e con i quali entra in competizione - spiega Jakobson ad AgiChina24 - e inoltre, dal 1998, la base di potere del ministero degli Esteri all'interno del Partito è in continuo declino".


È noto, insomma, che il rango all'interno del Partito superi per importanza il ruolo occupato nell'amministrazione, tanto da spingere alcuni funzionari a dirsi "dispiaciuti" per il ministro degli Esteri Yang Jiechi: "Durante gli incontri con le delegazioni internazionali, Yang occupa solo la quinta o la sesta posizione nel protocollo". La prevalenza del Partito sul governo si applica anche ad un caso che riguarda l'Italia da vicino: il ministero degli Esteri viene visto come l'attore più importante per le relazioni coi paesi Ue, fatta eccezione per Francia, Germania e Inghilterra, considerate nazioni con un peso specifico troppo elevato per essere lasciate alle sole cure del ministero. Secondo il SIPRI anche il "fiasco di Copenaghen" va attribuito a questi contrasti, allorquando Wen Jiabao decise di affidare le trattative ai funzionari della Commissione Nazionale Sviluppo e Riforme, notoriamente più attenti alle questioni interne di quelli degli esteri. Altre aree di influenza degli Esteri sarebbero state rosicchiate dal ministero per il Commercio Estero (tra i più fieri sostenitori di un controllo sul tasso di cambio dello yuan), dalla Banca Centrale (che invece appoggia maggiori fluttuazioni), dal ministero della Pubblica Sicurezza (in ascesa da prima del 2008, a causa delle Olimpiadi) e, come detto prima, dalla Commissione Nazionale Sviluppo e Riforme. E l'esercito? Nessun membro dell'Esercito di Liberazione Popolare occupa un seggio nella Commissione Permanente del Politburo dal 1997, ma secondo osservatori come il professo Jin Canrong dell'Università Renmin, la sua importanza sarebbe aumentata negli ultimi anni grazie anche ai maggiori scambi internazionali e alla crescente professionalizzazione degli alti comandi; ma due importanti militari e un ricercatore intervistati dal SIPRI smentiscono questa visione:  l'esercito si considera ancora parte integrante del Partito, e la sua prima missione consiste nel vegliare sulla sua stabilità.

 

Gli attori ufficiosi

 

Ma secondo il SIPRI, a causa della modernizzazione del paese, gli attori in campo sono molti di più di quelli ufficiali. E non è detto che il loro intervento renda le cose meno bizantine di quanto non faccia già l'apparato: un ruolo fondamentale e in continua ascesa, ad esempio, è quello delle grandi multinazionali di Stato, in particolare quelle del settore energetico. "La politica e le grandi aziende di Stato, in Cina, mantengono un rapporto simbiotico- dice Jakobson- e in generale le prime non intervengono direttamente negli affari internazionali. Ma quando le prime avvertono che un grosso profitto è connesso a scelte di politica estera, non esitano a cercare di influenzare gli apparati ufficiali". Se, da un lato, i dirigenti dei grandi conglomerati statali sono soggetti alle decisioni dei funzionari politici per gli investimenti all'estero, dall'altro va ricordato che i vertici di aziende strategiche come CNPC (China National Petroleum Corporation) e Baosteel vengono nominati direttamente dal Dipartimento Organizzativo del Partito; gli executives delle compagnie energetiche, inoltre, vengono sistematicamente consultati dagli organi decisionali per fornire pareri tecnici e, in diversi casi, siedono contemporaneamente nel consiglio d'amministrazione dell'azienda occupando anche un ruolo politico di qualche rilevanza; tre dei CEO delle maggiori imprese di Stato, ad esempio, godono di rango ministeriale. Ma in qualche caso, gli executives scalpitano: secondo un intervistato SIPRI a lui molto vicino, nel 2009 Fu Chengyu, CEO di CNOOC (China National Offshore Oil Corporation), sottopose un investimento straniero ai funzionari attraverso le procedure consuete, ed espresse formalmente la sua irritazione per le lungaggini burocratiche del processo decisionale. L'investimento venne, con ogni probabilità, approvato, e a volte le mosse delle multinazionali cinesi hanno un profondo impatto geopolitico: è il caso, ad esempio della pipeline Cina-Asia Centrale che, a regime, fornirà al Dragone i quattro quinti del gas naturale turkmeno, cioè –secondo calcoli del 2009- la metà del fabbisogno cinese.


Si è trattato di un'invasione di quella che la Russia percepisce come la sua sfera d'influenza: quanto hanno giocato su questa mossa gli studi tecnici delle grandi compagnie energetiche? Di sicuro, il viaggio di Hu Jintao in Turkmenistan nel 2008 è stato il primo di un capo di stato cinese in quasi un decennio. Su un altro piano vengono messi gli accademici, molti dei quali ambiscono al ruolo di consiglieri del principe e le cui opinioni sembrano quantomeno sempre più ascoltate, se non determinanti: "Nel corso di un'intervista un importante professore universitario ci disse di essere stato ricevuto da Hu Jintao per sottoporgli le sue idee su una certa questione estera- racconta Jakobson- e si tratta chiaramente di qualcosa che anche 10-15 anni fa sarebbe stata inconcepibile". Il trend dei funzionari politici che si avvalgono dei pareri di accademici, anche a livello puramente personale, sembra in netta e continua ascesa a partire dal 2000. E, infine, i cittadini, che possono sempre più esprimere le loro opinioni attraverso la rete facendosi strada prudentemente attraverso le maglie della censura. Sull'argomento, Jakobson è lapidaria: "Si tratta sicuramente di una tendenza sempre più diffusa. Un funzionario di altissimo livello ha ammesso che il parere della cittadinanza via internet su questioni di politica estera, dai rapporti con gli USA al dossier Taiwan, vengono ignorati quando si presentano spaccature e polarizzazioni. Ma quando la maggioranza è schiacciante, non la si può assolutamente ignorare".


"Nonostante la differenza di prospettive, l'idea che Pechino debba difendere i suoi interessi sulla scena internazionale con maggiore vigore è ormai preminente tra tutti questi nuovi attori - conclude Jakobson - ed è solo coinvolgendo continuamente ed efficacemente la Cina nell'agenda politica internazionale che le nazioni occidentali potranno fugare nell'establishment i sospetti che l'Occidente miri solo a bloccare la crescita economica della Cina".

 

di Antonio Talia

 

© Riproduzione riservata

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