Più di tutto l'Asia teme il dollaro debole
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Più di tutto l'Asia teme il dollaro debole

Più di tutto l'Asia teme il dollaro debole

Tokyo e Pechino. La crisi di Washington vista dall'Estremo Oriente
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TOKYO. Dal nostro inviato
Forte irritazione a Pechino, malcelato sconcerto a Tokyo: i due principali paesi creditori del Tesoro Usa stentano entrambi a credere alla possibilità di un default e di un downgrading americano, ma l'avvicinarsi della data-limite del 2 agosto senza che si profili una schiarita politica a Washington dà spazio a una grave preoccupazione comune all'intera Asia.
La Cina detiene asset valutari esteri per 3.200 miliardi di dollari, di cui almeno il 60% stimati in valuta americana (con 1.160 miliardi di dollari in Treasuries a fine maggio, secondo Bloomberg), mentre il Giappone possiede titoli Usa per 912 miliardi di dollari, con attività valutarie estere equivalenti a oltre 1,1 miliardi anch'esse per lo più in biglietti verdi. In fondo, la prospettiva di una perdita di valore degli asset governativi in dollari non è quella che fa più paura: le due principali economie asiatiche sono in una fase delicata – l'una di fronte al palesarsi di alcuni problemi strutturali e dell'inflazione, l'altra convalescente dagli effetti del terremoto – e non possono permettersi una destabilizzazione finanziaria internazionale che limiti la ripresa economica globale e quindi la domanda esterna.
Ha un bel dire il guru degli investimenti in Asia Mark Mobius (del fondo Templeton), secondo cui, come ai tempi del crack Lehman, un eventuale mancato accordo sul debito Usa provocherebbe un flusso di capitali verso i mercati emergenti, per lo più in Asia: quello che lui stesso, in fondo, prevede è un deflusso di investimenti dal dollaro verso le valute asiatiche, cosa che – in tempi di già spiccate tendenze inflazionistiche – i Governi della regione non vogliono affatto.
Lo si nota soprattutto a Tokyo, dove già impera l'allarme per il rafforzamento di uno yen considerato suo malgrado dagli investitori una valuta-rifugio tra le troppe incertezze e volatilità dei mercati. Il governatore della Banca del Giappone, ieri, è stato più esplicito del solito nel rilevare che la forza dello yen – salito ieri intorno a quota 78 sul dollaro, vicino ai massimi storici toccati 4 mesi fa – rischia di penalizzare la ripresa del paese: Masaaki Shirakawa ha promesso di «prendere iniziative appropriate quando necessario», suggerendo la possibilità di nuovi allentamenti della politica monetaria.
Le autorità di Pechino ufficialmente tacciono, lasciando esprimere disagio e incredulità a esponenti accademici e paragovernativi, ma dietro le quinte – secondo indiscrezioni – avrebbero fatto passi diplomatici. «Ci hanno detto non di sperare, ma di attendersi che gli Usa rispettino i loro vari impegni finanziari e internazionali», ha rivelato un alto funzionario del Dipartimento di Stato, nel giorno in cui il suo capo Hillary Clinton – nel corso della sua visita a Hong Kong e Shenzhen – ha cercato di dare qualche assicurazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

26/07/2011
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