Per ottenere la liquidità la via è molto complicata
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Per ottenere la liquidità la via è molto complicata

Per ottenere la liquidità la via è molto complicata

Credito. Le imprese che si finanziano con la divisa cinese
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Liquidità, il problema di molte aziende, italiane ed europee. La stretta del credito nel Vecchio continente, insieme alla globalizzazione sempre più spinta, aprono per le imprese nuovi scenari. E poiché secondo un sondaggio dello studio legale Allen and Overy (si veda il Sole 24 Ore del 12 novembre) la fame di credito crescerà nei prossimi 5 anni e i mercati asiatici sono considerati quelli con la liquidità e le disponibilità maggiori, la domanda che molti si fanno è: perché non rastrellare finanziamenti nelle valute dei colossi orientali, per esempio la Cina? Ma è davvero realistico, oggi, per un'impresa italiana, ancorché globale, puntare, per finanziarsi, su prodotti in renminbi? Il trend si vede, ma la cautela è d'obbligo.
«A oggi le corporate europee che si finanziano sul mercato in renminbi sono grandi multinazionali come Volkswagen o Unilever, società che già accedono al mercato dei capitali di debito. In alcuni casi per esigenze di funding in mainland China, in altri per pricing arbitrage. Il mercato è aperto anche per corporate più piccole, ma non può certamente essere considerato come fonte sostitutiva del credito bancario/obbligazionario europeo per le imprese italiane», dice Edoardo Ravá, di Bnp Paribas.
La congiuntura non aiuta. «Da qualche mese assistiamo da parte degli istituti asiatici a una diminuzione nella disponibilità a fornire liquidità e finanziamenti a imprese estere - dice Andrea Croci, Responsabile Ufficio di Rappresentanza di Hong Kong di Ubi Banca –. Questo è dovuto, in parte, a un meccanismo di cautela che il sistema finanziario locale ha adottato dopo alcune esperienze poco positive con aziende nazionali e in parte al momento economico e finanziario dell'Italia e degli altri Paesi Europei. Ne è emerso un atteggiamento più conservativo nel valutare le richieste di finanziamento e liquidità, che si traduce sia in un monitoraggio più attento delle singole attività imprenditoriali, sia in richieste di garanzie da parte di istituti finanziari italiani».
Cristiano Tommasi, partner del dipartimento International capital markets di Allen & Overy, indica cinque motivi per i quali un'impresa potrebbe essere interessata a finanziarsi, per esempio, con bond denominati in renminbi: perché deve investire in Cina; perché deve pagare in renminbi e può essere utile avere valuta cinese; per una migliore gestione del rischio di cambio; perché i tassi sono molto più convenienti, in media un terzo in meno e perché ci guadagna in immagine sul mercato locale. Certo, esiste un rischio convertibilità: «Un eventuale accordo di copertura del rischio – dice Tommasi – , sebbene abbia un costo, può comunque mantenere la convenienza dell'operazione nel suo complesso visti i tassi sensibilmente più bassi».
I vincoli di Basilea 3 da un lato e le normative fiscali dall'altro, possono in effetti indurre le aziende quotate a rivolgersi ai mercati di capitali più che al finanziamento diretto. «Gli interessi pagati da una società italiana a un finanziatore estero dal 1° gennaio – spiega Francesco Bonichi, Tax partner di Allen & Overy – saranno soggetti alla ritenuta a titolo d'imposta del 20%, salvo trattati contro le doppie imposizioni che di regola riducono al 10% le ritenute sugli interessi. Dunque per le società italiane è conveniente ricevere finanziamenti solo da banche italiane o banche estere presenti in Italia che eroghino direttamente il credito. Un'alternativa per le quotate è appunto il mercato dei capitali».
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28/11/2011
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