Pechino, 6 giu.- "Google è diventato ormai uno strumento politico che mira a diffamare il governo cinese": a rimandare l'accusa al mittente è questa volta il People's Daily, quotidiano ufficiale del partito comunista cinese, attraverso un lungo editoriale pubblicato lunedì. E la querelle tra il colosso di Mountain View e il Dragone si sposta sulla carta stampata.
Dopo qualche mese di silenzio, la settimana scorsa un nuovo 'incidente' ai danni del motore di ricerca ha riacceso la disputa in corso da più di anno tra la Cina e Google. Mercoledì scorso, la compagnia americana ha fatto sapere che gli account gmail di diversi esponenti dell'amministrazione americana, funzionari, militari, giornalisti e attivisti cinesi sono stati oggetto di un attacco informatico che con tutta probabilità ha avuto origine in Cina. In particolare, l'attacco sferrato dagli hacker cinese – secondo la denuncia del direttore del colosso di Mountain View- sarebbe partito da Jinan, nella provincia orientale dello Shandong, con un bersaglio ben preciso: centinaia di account di posta elettronica di funzionari e attivisti. Un hackeraggio subito sventato. La vicenda aveva messo in subbuglio anche Washington: giovedì il segretario di Stato degli Stati Uniti Hillary Clinton, si è apprestato a sottolineare che il governo americano prende sul "serio le gravi accuse" di pirateria informatica di Google. Si tratta, aveva detto Clinton, di "accuse molto gravi, le prendiamo sul serio e le stiamo esaminando". Immediata la reazione di Pechino: "Affermare che il governo cinese sostenga gli attacchi hacker è una totale invenzione e nasconde secondi fini", aveva affermato la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hong Lei.
E semmai ce ne fosse bisogno, l'editoriale del People's Daily si schiera - senza grosse sorprese - a difesa della linea governativa: "inserendo gli attivisti tra le vittime dell'hackeraggio Google ha deliberatamente accresciuto la già negativa percezione che l'Occidente ha della Cina". "Le accuse contro la Cina sono senza fondamento e nascondono intenzioni maligne" si legge ancora nel pezzo che passa poi ad ammonire il motore di ricerca. "Google non dovrebbe lasciarsi coinvolgere in battaglie politiche internazionali che lo rendono uno strumento di contesa". Il rischio di un tale coinvolgimento è infatti quello di subire ripercussioni negative negli affari in un futuro non troppo lontano. Quando i venti del panorama internazionale cambieranno rotta Google potrebbe ritrovarsi soffocata dalle dinamiche politiche attirando così il disprezzo del mercato" scrive il People's Daily senza però specificare cosa, in particolare, potrebbe compromettere gli affari della compagnia americana.
Nonostante Pechino neghi di essere responsabile di un attacco informatico, da Washington il segretario della Difesa Robert Gates si dichiara pronto a usare la forza contro i cyber-attacchi che, considerati dei veri e propri attacchi militari, di virtuale sembrano avere ben poco. E se l'Aquila dovesse attaccare, il Dragone di certo non resterebbe a guardare: è di qualche giorno fa la notizia che il ministero della Difesa cinese ha schierato un intero esercito cibernetico a protezione del sito e dei dati sensibili dell'Esercito popolare di Liberazione (PLA) (questo articolo). Intanto la guerra cibernetica tra Google e il Dragone è già in corso da tempo e sembra essersi appena arricchita di un nuovo episodio (questo articolo). La compagnia di Mountain View è presente in Cina dal 2005, ma il rapporto tra il motore di ricerca e il gigante asiatico è sempre stato altalenante per via del bavaglio imposto dal governo cinese. Nel marzo dello scorso anno, dopo aver dichiarato di essere stato vittima di un attacco informatico– che Wikileaks assicura essere stato diretto da due membri del Politburo (questo articolo), Google aveva dirottato le sue operazioni su Google.com.hk sbloccando di fatto i contenuti sgraditi al governo di Pechino (questo articolo). Un tentativo inutile in quanto la censura che Google si rifiuta di esercitare fu prontamente reintrodotta dai filtri governativi che resero inaccessibili le pagine incriminate. La schiarita arrivò poi a luglio con il rinnovo della licenza di ICP di Google da parte di Pechino. Ma il braccio di ferro continua tuttora alimentato da nuovi attriti l'ultimo dei quali risale allo scorso marzo quando la compagnia aveva registrato alcune interferenze sulla casella di posta gmail di alcuni utenti cinesi (questo articolo). Le infiltrazioni, avevano dichiarato alcuni analisti, rappresentavano l'ultima mossa delle autorità cinesi per interrompere il tam tam sul web che aveva promosso alcune emulazioni cinesi delle rivolte dei gelsomini tunisine. Un'accusa che ancora il governo cinese aveva bollato anche quella volta come "inaccettabili".di Sonia Montrella
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