Pechino torna al cambio flessibile
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Pechino torna al cambio flessibile

Pechino torna al cambio flessibile

Verso il summit di Toronto - LO SCACCHIERE VALUTARIO
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
La Cina sgancia lo yuan dal dollaro. Per maturare la decisione solenne, auspicata e attesa da mesi dai principali partner commerciali del Dragone, Pechino ha atteso le ore 19 di un sabato estivo afoso.
«La ripresa dell'economia cinese ha acquistato solidità con il rafforzamento della stabilità economica. In questo quadro, è necessario proseguire la riforma del tasso di cambio e aumentare la flessibilità del renminbi», spiega un comunicato emesso ieri sera dalla People's Bank of China. Nonostante il tono vago e un po' criptico della nota, il senso sembra chiaro: dopo essere rimasto agganciato al dollaro per quasi due anni, lo yuan tornerà presto a fluttuare sul mercato dei cambi.
Il che, tuttavia, non implica particolari rivoluzioni rispetto al passato. Pechino, infatti, esclude che a breve termine possano verificarsi «sensibili apprezzamenti» dello yuan, giacché non «sussistono le condizioni». D'altronde, anche se la nota non lo dice, il recente deprezzamento dell'euro sul renminbi ha assestato un duro colpo alla competitività del made in China sui mercati del Vecchio Continente.
Quindi, niente rivalutazioni secche e neppure generosi allargamenti della banda di oscillazione quotidiana, come auspicato dagli Stati Uniti che da mesi esercitano forti pressioni sulla Cina accusandola di protezionismo valutario. «È improbabile che la Cina abbandoni la sua tradizionale politica di gradualismo», osserva Ben Simpfendorfer, economista di Royal Bank of Scotland.
La mossa a sorpresa della Pboc porta semplicemente l'orologio del meccanismo di cambio cinese all'estate 2008 quando, per contrastare la crisi economica globale, la Cina riagganciò di fatto il valore del renminbi a quello della moneta americana. «Si ritorna semplicemente al vecchio regime: tutto ciò che accadeva prima del luglio 2008 tornerà ad accadere d'ora in avanti», osserva Wang Qing, economista di Morgan Stanley.
Per comprendere cosa accadeva prima, è bene fare un passo indietro. Nel luglio 2005, dopo aver tenuto ancorato il valore dello yuan a quello del dollaro per oltre dieci anni, la Cina decise di riformare il proprio sistema di cambio. L'operazione si articolò in tre mosse: rivalutazione secca del 2,1% sulla moneta americana; sganciamento immediato del renminbi dal biglietto verde Usa; nuovo ancoraggio dello yuan a un paniere valutario di cui Pechino non ha mai svelato la composizione.
Da allora fino all'agosto del 2008, muovendo un passetto dopo l'altro dentro la banda di oscillazione definita dalla Pboc (il margine quotidiano è compreso tra -0,5 e + 0,5 per cento), il renminbi si è apprezzato di circa il 20% nei confronti del dollaro. Dopo di che, la marcia rialzista della moneta cinese si è improvvisamente arrestata perché, per sostenere le esportazioni in caduta libera, due anni fa il Dragone ha congelato le oscillazioni quotidiane dello yuan riagganciandolo di fatto al dollaro. Così, da quel momento fino a oggi, con grande e crescente disappunto di Washington, la quotazione del renminbi sulla moneta americana è rimasta inchiodata intorno a quota 6,8.
Ora che l'emergenza è finita, quel meccanismo dovrebbe riprendere a funzionare. Il comunicato della Pboc non precisa però da quando. Il mistero non dovrebbe durare a lungo. Oggi stesso, infatti, la banca centrale emetterà una nuova nota con le modalità operative del provvedimento. E comunque domani alla riapertura dei mercati si scoprirà subito se l'era seconda del peg yuan-dollaro (la prima era quella conclusasi nel luglio 2005) è davvero terminata.
La riforma valutaria annunciata ieri ha senza dubbio un forte significato politico. La perfetta scelta di tempo infatti consente a Hu Jintao di presentarsi al vertice del G-20 della settimana prossima da una posizione di forza. Il messaggio per i leader che parteciperanno al summit di Toronto è chiaro: riformando il suo sistema cambio, la Cina ha fatto la sua parte per sostenere la ripresa globale. Ora tocca agli altri fare la loro.
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Luglio 2005
Dopo aver tenuto agganciato lo yuan al dollaro per oltre dieci anni, la Cina decide una rivalutazione secca del 2,1% sulla moneta americana, lo sganciamento immediato del renminbi dal dollaro e l'ancoraggio a un paniere valutario. Da allora fino all'agosto 2008, un passo dopo l'altro (la banda di oscillazione quotidiana è dello 0,5), il renminbi si è apprezzato del 21,5%
Luglio 2008
Si ferma l'apprezzamento dello yuan. Il nuovo ancoraggio de facto al dollaro, che è durato fino a oggi, è stato deciso per sostenere l'export in caduta libera in una fase di crisi globale. Così la quotazione del renminbi è rimasta inchiodata a quota 6,8

20/06/2010
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