Pechino sceglie il manager italiano
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Pechino sceglie il manager italiano

Pechino sceglie il manager italiano

Globalizzazione
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L'acqua minerale sul tavolo della sala riunioni ha l'etichetta con doppio marchio: Cifa (in italiano) e Zoomlion (in cinese). Dettagli a parte, nello stabilimento di Senago, poco fuori Milano, l'aria è quella di sempre. Cifa, azienda leader nella produzione di betoniere, è diventata parte della galassia Zoomlion, tra i primi gruppi mondiali anche nei macchinari per l'edilizia, però continua ad essere gestita dagli stessi manager, come se niente fosse. Miracolo a Milano o strategia aziendale?
«Qui i vertici sono rimasti tali e quali», spiega Stefano Marcon, ceo di Cifa spa «a company of Zoomlion group», come si legge nella sua business card. C'è un tessuto di risorse umane intatto che, anzi, si intreccia con quello della nuova casa madre. La strada, chiara, l'ha tracciata il neo cavaliere del lavoro presidente Zhan Chunxin. L'eco risuona nelle parole di Marcon: «Noi promuoviamo prodotti Zoomlion qui in occidente e in Cina le betoniere Cifa – precisa Marcon –. Lo scambio di esperienze è intenso: certo, bisogna saper comprendere, ma è una dote necessaria. In ogni caso».
Il breve viaggio tra i manager delle più grandi aziende cinesi in Italia, poche ma tutte rampanti, molte di taglio multinazionale, rivela che le aziende non basta comprarle, o spostarle, bisogna imparare a gestirle e farle crescere. Prendete il colosso Minmetals. Ignazio Porcari, avvocato, è diventato il vicepresidente non operativo della branch italiana: «Stiamo cercando nuovi addetti – rivela – e senza preclusioni, tranne un elemento: la competenza». Dal canto suo Roberto Loiola, ex Nokia, sta per brindare al giro di boa del primo anno in Huawei, di cui è responsabile Europe «anche se l'Italia assorbe tantissimo del mio tempo». Come va, Loiola? «Bene. Sarà che lavorare con i finlandesi mi ha temprato, ma qui in Huawei si stanno internazionalizzando le competenze, il movimento è lento, anche se progressivo. L'altro giorno eravamo in conference call e ho visto che tutti tra di loro parlavano cinese. Hanno smesso appena mi hanno visto in collegamento. Il meeting è continuato in inglese, senza colpo ferire». Continua Loiola: «Sto reclutando manager esperti nel settore delle telecomunicazioni con una forte esperienza di business; il risultato è che l'azienda è cresciuta di quasi 100 unità in un anno, ha 400 dipendenti con molte posizioni ancora aperte per le sedi di Milano, Roma, Torino e Berna. Il 70 per cento dei dipendenti è locale. Cerchiamo figure altamente qualificate. Ben vengano anche i cinesi di seconda generazione».
«Per i manager occidentali è motivante agganciarsi al treno dello sviluppo mondiale e un'azienda come Huawei, nonostante le dimensioni e il business considerevoli, ha una capacità di rischio molto elevata, introvabile in un contesto europeo», conclude Loiola. Gli fa eco Fabio Di Marco, numero uno della concorrente cinese Zte Italia: «Tutta la nostra prima linea manageriale è italiana. Il nostro direttore generale, Fan Jiongyi (evidentemente cinese) è molto presente in Italia. Zte Corporation crede fortemente nell'internazionalizzazione dell'azienda, che significa essere presente su tutti i mercati, da quelli in via di sviluppo a quelli più evoluti come i nostri, e veicolare i valori aziendali e l'expertise tecnologica attraverso le risorse locali, beneficiando del valore aggiunto che queste possono offrire. Quest'anno si prevede l'assunzione di 20 nuovi dipendenti, prevalentemente nel settore tecnico, ma non trascuriamo l'indotto». Per Haier, Gianluca Di Pietro è da sette anni il numero uno Italia. La sua assunzione, ai tempi, suonò come una piccola rivoluzione. Un italiano in Haier? Di Pietro, adesso, è un capitano di lungo corso. «Va bene così. L'importante – ammette – è trovare le persone giuste. In Europa era stato assunto un manager coreano. Non ha funzionato perché non aveva un'adeguata conoscenza del mercato europeo e delle differenze interne tra i paesi. Tutto qui».
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/ritafatiguso.blog
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11/02/2011
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