PECHINO: "NESSUNA DEROGA ALLA CENSURA"
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PECHINO: "NESSUNA DEROGA ALLA CENSURA"

PECHINO: "NESSUNA
DEROGA ALLA CENSURA"

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PECHINO: "NESSUNA DEROGA ALLA CENSURA"
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Roma, 8 giu.- Il diritto di censura del web cinese è ormai ufficialmente impresso nero su bianco. Dopo la  guerra cibernetica che per mesi ha visto Google e Cina duellare su fronti opposti, terminata con il trasferimento del motore di ricerca americano sul dominio di Hong Kong, il governo di Pechino ha ribadito la sua posizione pubblicando un libro bianco sull'uso di internet, in cui spiega che "tali misure appaiono necessarie per garantire la pubblica sicurezza" e invita le altre nazioni a rispettare le disposizioni del Partito. "Sono accorgimenti tecnici in linea con le leggi vigenti nel Paese- si legge nel documento- che permettono al governo di prevenire e tenere a freno la divulgazione di informazioni dannose o illegali e di tutelare gli interessi dei cittadini e dei minori". Secondo i leader del Paese, la censura servirebbe a proteggere gli utenti "dalle manifestazioni di odio razziale, dal gioco d'azzardo, dai siti osceni", contenuti pericolosi che possono essere introdotti sul web non solo dalla Cina, ma anche dagli altri Paesi. "Rinforzeremo i controlli per bloccare la diffusione di informazioni dannose provenienti dall'estero in Cina e resistere alla penetrazione online di forze straniere ostili" aveva dichiarato un mese fa il capo dell'Ufficio Informazioni del Gabinetto Wang Chen in merito a una nuova campagna di controllo delle informazioni su internet. 
Ma contro la posizione ufficiale di Pechino si sollevano voci di protesta da ogni parte del Paese, e anche  dall'estero:  la Cina, ancora una volta, viene accusata di aver eretto un muro di protezione intorno alla rete  per soffocare eventuali critiche mosse al PCC ed eclissare argomenti sensibili come ad esempio il massacro di Tian'anmen o la questione tibetana. In particolare, uno dei principali strumenti di controllo adottati da Pechino è costituito da un filtro lanciato nel 1998 che il governo chiama "Scudo Dorato" e che gli internauti hanno ironicamente ribattezzato "Grande Muraglia di Fuoco". Secondo la tv di Stato CCTV, il progetto è costato  - solo all'avvio - 6.4 miliardi di yuan (più di 650 milioni di euro):  la Grande Muraglia di Fuoco si avvale sia di sofisticati software che bloccano automaticamente parole chiave, sia di una sezione della polizia che controlla continuamente la rete, composta,si dice,  da almeno 40 mila poliziotti. Il controllo è particolarmente penetrante su tutti i siti che agevolano scambi di opinioni e informazioni: social network come YouTube, Facebook, Flickr, Twitter  risultano completamente bloccati dopo i sanguinosi scontri etnici del luglio scorso nello Xinjiang, la provincia dell'estremo ovest della Cina abitata dagli uiguri, una minoranza turcofona e islamica.
 E sebbene il governo si riservi il diritto sovrano di oscurare i siti considerati scomodi o pericolosi, nel libro bianco si legge anche che "la Cina garantisce ai cittadini la libertà di parola sul web e il diritto a documentarsi e a partecipare a qualsiasi discussione"; una dichiarazione che cozza con i dati della Commissione per la protezione dei giornalisti(CPJ), un organismo indipendente basato a New York, secondo cui il Dragone si posiziona tra i Paesi che più soffocano la libertà di espressione, specialmente nel campo del web: secondo le statistiche ufficiali, solo nel 2009 sono stati 24 i giornalisti arrestati, e la maggioranza diffondeva opinioni e commenti sgraditi via internet. A denunciare l'estremo controllo del web da parte del governo non solo il mondo dell'informazione ma anche quello dell'economia; circa un mese fa il vice-presidente della Commissione Europea Neelie Kroes aveva dichiarato che  i filtri sulla rete cinese costituiscono "non solo una barriera culturale, ma anche  commerciale". "Per questo motivo- aveva detto Kroes-  ritengo si tratti di una barriera economica, sulla quale dovrebbe pronunciarsi la WTO".
Al di là del diritto alla censura, resta però un dato di fatto: in Cina, forme di dipendenza dal web sono sempre più diffuse. Secondo i media locali sarebbero circa 24 milioni gli adolescenti letteralmente ossessionati da internet, che trascorrono gran parte della loro giornata giocando on-line; ecco allora i campi di rieducazione in cui i "drogati del web" vengono sottoposti ad addestramento fisico ed esercitazioni militari. "Trasmettiamo loro il senso della disciplina, e li aiutiamo a recuperare uno stile di vita regolare" afferma un impiegato di un campo del Huai'an, ma spesso gli istruttori dei campi di recupero alternano agli "aiuti" anche abusi e pene corporali: il mese scorso, nel Guangxi, due di essi sono stati condannati a dieci anni di prigione per aver bastonato a morte un ragazzo di quindici anni.
Nella mattina di oggi, 14 web-dipendenti tra i 15 e i 22 anni sono evasi da un campo di rieducazione del Jiangsu dopo aver legato al letto il loro supervisore, ma la fuga è durata ben poco: sprovvisti del denaro per pagare il taxi, i ragazzi sono stati subito rintracciati dalle autorità. Evadere da uno dei campi disseminati in tutta la Cina, insomma, non è roba da videogame.
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