Pechino in testa per condanne capitali

Pechino in testa  per condanne capitali

di Sonia Montrella

 

Roma, 27 mar.- E' ancora la Cina, di pari passo con l'Iran, a mantenere il primato di detenuti nel braccio della morte. Non solo. Lo scorso anno nel Gigante asiatico sono state giustiziate più persone che nel resto del mondo.  E' quanto emerge dal rapporto annuale sulle esecuzioni capitali di Amnesty International che, tuttavia, ha scelto di non rilasciare numeri. "Non ha senso. Pechino mantiene un alone di segretezza sulla pena di morte e le cifre ufficiali sulle esecuzioni elaborate dal governo sono di gran lunga sottostimate"  spiega Salil Shetty, il segretario generale dell'associazione.

 

Ma Shetty non ha dubbi: nessun Paese può competere numericamente con Pechino, "basti pensare che la condanna capitale è applicabile a 55 reati". Tredici in meno rispetto allo scorso anno, quando il Dragone ha deciso di eliminare la pena capitale per alcuni tipi di reati finanziari per i quali, ad ogni modo, "raramente era emessa una condanna a morte", si legge nel rapporto. Il che, osservano ad Amnesty International,  fa presupporre che le cifre delle condanne non siano diminuite poi di molto.

 

Le autorità hanno inoltre ampliato la portata della pena capitale ora emessa anche nei confronti di coloro che costringono una persona a donare i propri organi e che producono o vendono farmaci falsi, alimenti velenosi o nocivi.

 

Non è finita. Secondo l'organizzazione con base a Londra, sono proprio i tribunali cinesi - coloro che lavorano perché sia fatta giustizia - i primi ad agire in modo non  limpido e ingiusto. "Anche nel 2011, le persone condannate al braccio della morte sono state sottoposte a processi non equi". Per il Dragone, infatti, l'accusato è colpevole fino a prova contraria, così deve dimostrare di essere innocente, impresa non facile se si considera che la polizia spesso estorce confessioni sotto tortura. "Il tasso di condanne per sospettati è del 100%" riferisce Shetty sottolineando come i tribunali siano inoltre soggetti a continue interferenze politiche da parte del PCC. "Secondo la legislazione cinese, i condannati non hanno il diritto di chiedere la grazia o la commutazione della propria sentenza al ramo esecutivo. Gravi vizi procedurali hanno continuato a esporre migliaia di persone al rischio di privazione arbitraria della vita".

 

Provata l'innocenza, non è detto che l'incubo sia finito: tre uomini, riferisce Amnesty International, sono stati prosciolti dalle accuse il 12 novembre 2009 dopo che i loro casi erano stati esaminati dall'Alta corte popolare provinciale di Hebei. "Tuttavia, dopo la sentenza, sono rimasti in carcere per altri due anni, fino al 4 novembre 2011 quando anche la Corte popolare intermedia di Langfang City, dove si era svolto il primo processo, li ha dichiarati innocenti".

 

Uno di loro, Chen Ruiwu – ingiustamente accusato di omicidi plurimi -, ha raccontato in aula le torture cui era stato sottoposto sin dal primo giorno di prigionia per confessare il crimine. Chen ha detto di essere stato costretto a bere acqua bollente e peperoncino, di essere stato sottoposto a scosse elettriche e traumi ai genitali e alle dita dei piedi che i poliziotti hanno schiacciato con delle pinze. "Durante la detenzione - si legge nel rapporto - Chen Ruiwu ha tentato il suicidio mordendosi la lingua. È stato portato in ospedale dove gli hanno messo sette punti di sutura e poi è tornato in prigione.  Dopo più di un mese di torture continue, Chen Ruiwu ha confessato il crimine" .

 

Tuttavia, sostiene l'organizzazione,  qualche passo in avanti il Dragone lo ha fatto: "L'articolo 120 della nuova legge criminale – approvata a marzo dall'Assemblea Nazionale del Popolo - prevede la registrazione per intero di tutti gli interrogatori a sospettati di reati capitali o a coloro che rischiano l'ergastolo". Dal canto loro, le Corti di secondo grado dovranno avere un'udienza in tutti i casi capitali e in altri casi dove difesa e accusa sono in disaccordo sui fatti o sulle prove. Mentre per quanto riguarda invece la procedura per l'approvazione finale di una condanna a morte da parte della Corte suprema del popolo, le proposte di modifica ampliano il potere della Corte suprema così che oltre a rinviare un caso a giudizio, se la condanna a morte non viene confermata, la Corte suprema può anche indire un'udienza e procedere essa stessa alla revisione della sentenza in tutti i casi". Inoltre, si legge ancora nel rapporto: "La Corte suprema di interrogare l'imputato durante il processo di revisione e anche di ascoltare le argomentazioni della difesa, se richiesto dall'avvocato.

 

E ora Shetty sollecita la Cina a rafforzare gli impegni in questa direzione, a cominciare dalla diffusione delle cifre reali "per dare prova di quei passi in avanti compiuti negli ultimi quattro anni" di cui parla Pechino.  "Nel 2011 la Cina ha continuato a mantenere segreto l'uso della pena di morte impedendo così la verifica della dichiarata riduzione del suo uso dal 2007" si legge nel rapporto.

 

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