Pechino ha grandi piani sull'atomo

SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Il più colossale piano di potenziamento nucleare della storia potrebbe trasformarsi in un complicato percorso a ostacoli per colpa di un fattore imprevisto: la fiera e risoluta opposizione dei cittadini cinesi alla costruzione delle centrali atomiche.
La protesta ha già un suo epicentro. È a Pengze, una cittadina del Jiangxi a un tiro di schioppo da Wangjiang, una località nella vicina provincia di Anhui destinata a ospitare uno dei 28 reattori previsti dal piano di sviluppo nucleare della Cina. Qualche settimana fa le autorità locali di Pengze hanno inviato a Pechino una petizione, chiedendo esplicitamente al Governo di cancellare la costruzione della centrale. La petizione, che è stata accompagnata da una mobilitazione della cittadinanza locale, segue un'analoga iniziativa promossa l'anno scorso, subito dopo l'incidente di Fukushima, dagli amministratori di Wangjiang per bloccare sul nascere il nuovo reattore.
La mobilitazione degli enti locali e delle comunità che vivono nell'area a cavallo del Fiume Yangtze su cui dovrebbe sorgere la centrale rappresenta un fatto nuovo, di cui la nomenklatura cinese dovrà sicuramente tener conto nello sviluppo del suo programma nucleare.
Un programma ambizioso che, nei piani di Pechino, entro il 2020 dovrebbe consentire al Paese di coprire il 5% del proprio fabbisogno energetico tramite la combustione dell'uranio (attualmente è solo l'1%). E che, nel giro di un paio di decenni, trasformerà la Cina nel principale produttore di energia nucleare del pianeta.
Oggi, oltre la Grande Muraglia ci sono 10 gigawatt di potenza installata: noccioline rispetto ai 373 gigawatt prodotti ogni anno nel mondo. L'obiettivo del Governo cinese, secondo quanto previsto dall'ultima revisione del piano originario elaborato nei primi anni Duemila, è di aumentare la capacità atomica nazionale di altri 70 gigawatt entro il 2020 (a quel punto la potenza installata complessivamente salirà a 80 gigawatt), tramite la costruzione di 28 reattori di nuova generazione. Di questi, una ventina sono già in costruzione (quello di Pengze-Wangjiang è in fase di avanzata progettazione), e almeno una dozzina dovrebbero entrare in funzione già entro il 2015.
Il "Grande Salto in Avanti" del nucleare cinese (fu proprio Mao il primo fervido sostenitore dell'opzione atomica nei primi anni 70, salvo poi cambiare idea) è un business colossale. Il conto è presto fatto. In base ai piani originari, la prima tappa del piano avrebbe richiesto circa 50 miliardi di dollari di investimenti (al tasso di cambio dell'epoca, oggi sono circa 10 miliardi in più).
Ma con i numerosi ampliamenti decisi in corso d'opera, posto che ogni gigawatt di potenza supplementare costa circa 2 miliardi di dollari, oggi l'impegno complessivo di Pechino si aggira intorno a 140 miliardi di dollari.
Un impegno che dovrà essere moltiplicato all'ennesima potenza se la Cina, come prevedono alcuni esperti, entro la metà del secolo costruirà davvero altre 200 (se non addirittura 300) nuove centrali atomiche per tenere il passo con i suoi crescenti consumi di energia.
La protesta di Pengze, e le altre che sicuramente scoppieranno in futuro in altre località scelte come siti atomici, rischiano di tarpare le ali al piano nucleare di Pechino? Difficile dirlo. Sicuramente, su una questione tanto spinosa e sensibile per l'opinione pubblica, il Governo dovrà andarci con i piedi di piombo. E il fatto che sul piano nucleare cinese gravi ancora la moratoria imposta dal Governo dopo l'incidente di Fukushima, nonostante gli ispettori abbiano già detto che le future centrali sono a prova di bomba, è lì a dimostrarlo.
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11/03/2012