PECHINO, CORRUZIONE RESTA "MOLTO GRAVE"
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PECHINO, CORRUZIONE RESTA "MOLTO GRAVE"

PECHINO, CORRUZIONE
RESTA "MOLTO GRAVE"

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PECHINO, CORRUZIONE RESTA "MOLTO GRAVE"
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Pechino, 29 dic. - La corruzione in Cina è ancora "a livelli di estrema gravità", e dalla lotta ai fenomeni corruttivi dipendono "la stabilità e l'armonia" del Paese: lo sostiene un rapporto ufficiale di 39 pagine pubblicato oggi dal governo di Pechino, nel quale si espongono gli ultimi sforzi del Partito Comunista Cinese (PCC) per contrastare un fenomeno che causa crescente malcontento in fasce sempre più ampie della popolazione. Wu Yaliang, membro della commissione disciplinare centrale del PCC, ha sottolineato nel corso di una conferenza stampa le nuove norme approvate nel 2010 per rendere pubblici gli investimenti e le proprietà dei funzionari: "La corruzione, tuttavia, persiste, e in alcuni casi coinvolge enormi flussi di denaro,- ha detto Wu - la situazione è ancora molto grave e i compiti da affrontare sono enormi".
  Nelle classifiche indipendenti dell'organizzazione non governativa Transparency International, con sede a Berlino, la Cina - pur essendo ormai la seconda economia mondiale - occupa il 79simo posto; molto al di sotto di Stati Uniti e Gran Bretagna, ma con risultati comunque migliori rispetto a paesi come India e Russia. Le campagne anticorruzione lanciate dal PCC hanno portato a numerosi arresti eccellenti, come quello del potente leader di Shanghai Chen Liangyu, arrestato nel 2006 e condannato successivamente a 18 anni di prigione. I detrattori, tuttavia, interpretano spesso tali campagne come strumenti per eliminare dalla competizione politica gli appartenenti alle fazioni avversarie: "Non penso sia molto coerente pretendere che leader già corrotti possano combattere la corruzione,- ha dichiarato Pu Zhiqiang, importante avvocato cinese che si batte per il rispetto dei diritti umani - per combatterla davvero è necessaria una società democratica". Il Partito, per bocca di Wu Yaliang, ha incoraggiato la denuncia dei casi di corruzione attraverso internet, ma spesso chi mette in luce il fenomeno ne paga le conseguenze: Zhao Lianhai, un attivista che si batte per la sicurezza alimentare, è stato recentemente condannato a 30 mesi di carcere (questo articolo  e questo articolo); Sun Hongjie, giornalista, è morto in seguito a percosse mentre indagava su un caso di espropriazioni forzate, che in Cina muovono enormi interessi economici. In Cina, com'è noto, i media sono strettamente sorvegliati dal governo, ma negli ultimi anni internet è emersa come il principale mezzo di denuncia della corruzione dei pubblici ufficiali. Secondo un sondaggio realizzato l'anno scorso dal portale Sina.com, la lotta alla corruzione costituiva per il terzo anno consecutivo la principale richiesta rivolta dai cittadini cinesi al governo.

 

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