Di Eugenio Buzzetti
Pechino, 13 lug. - La Cina non fa marcia indietro sulle rivendicazioni territoriali e mette in guardia i Paesi del sud-est asiatico dalla possibilità di una guerra. All'indomani della sentenza della Corte Permanente di Arbitrato dell'Aia, che nega ogni fondamento storico e giuridico alle rivendicazioni di Pechino nel Mare Cinese Meridionale, Pechino apre alla possibilità di una Adiz (zona di identificazione aerea di Difesa) nello spazio aereo del Mare Cinese Meridionale. Il vice ministro degli Esteri di Pechino, Liu Zhenmin, ha avvertito i Paesi della regione di non trasformare l'area in una "culla di guerra" e di non "sfruttare l'opportunità di minacciare la Cina".
All'avvertimento sono seguite le condizioni per l'istituzione di una possibile Adiz. "La Adiz non è un'invenzione della Cina, piuttosto di alcune grandi potenze - ha spiegato - Se la nostra sicurezza sarà minacciata, naturalmente ne avremo il diritto. Dipenderà dal nostro giudizio complessivo". Pechino ha ribadito la propria posizione sulle dispute territoriali anche con un nuovo libro bianco dedicato proprio alla risoluzione tramite negoziati bilaterali delle dispute con le Filippine. "La rivendicazione delle isole Nansha da parte delle Filippine è infondata sia dalla prospettiva storica che da quella del diritto internazionale", si legge nel white paper pubblicato oggi dall'Ufficio per l'Informazione del Consiglio di Stato, il governo cinese. "La Cina non accetta o riconosce questa sentenza. La Cina si oppone e non accetterà mai qualsiasi rivendicazione o azione basata su questa sentenza".
Il giudizio del tribunale dell'Aia di ieri è stato nettamente a favore delle Filippine. Con un verdetto unanime, i cinque giudici hanno invalidato le pretese storiche di Pechino di considerare come proprie acque territoriali quelle contenute all'interno della "nine-dash line", la "linea a nove trattini" che racchiude circa l'85% del Mare Cinese Meridionale e in cui si trovano le isole Spratly e il banco delle Scarborough, oggetto di forti contese con Manila. La sentenza ritiene Pechino anche responsabile dei danni ambientali causati dai lavori di ampliamento compiuti in alcune isole contese, su cui, peraltro, la Cina non può vantare alcun diritto perché ricadono nella zona economica esclusiva delle Filippine. Liu ha poi pesantemente criticato i giudici dell'Aia. "Questi cinque giudici fanno soldi e i soldi che fanno provengono dalle Filippine", ha detto, accusandoli di essersi prestati a una "manipolazione politica", perché quattro dei cinque membri erano stati scelti da un giudice giapponese, Shunji Yanai, che avrebbe fatto pesare la propria influenza.
La sentenza dell'Aia è avvenuta in coincidenza con il China-Eu Business Summit. Nelle ore in cui i giudici dell'Aia emanavano la sentenza, a Pechino si trovavano i vertici dell'Unione Europea. Il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, hanno incontrato il presidente cinese, Xi Jinping, nel tardo pomeriggio di ieri, che ha rinnovato la contrarietà della Cina alla sentenza. "La sovranità territoriale della Cina e gli interessi marittimi nel Mare Cinese Meridionale - aveva detto ieri Xi ai leader europei - in ogni circostanza, non verranno toccati" dalla sentenza.
La reazione dei leader europei alla sentenza è stata all'insegna del basso profilo. Dopo che ieri, all'ultimo minuto, era stata cancellata la conferenza stampa congiunta dal Ministero degli Esteri di Pechino, oggi, presso la sede della delegazione diplomatica dell'Ue a Pechino, la sentenza dell'Aia è stata solo sfiorata dai commenti di Donald Tusk. L'Unione Europea ha "piena fiducia" nel tribunale dell'Aia e spera che la sentenza di ieri possa rappresentare un "momento positivo" per la risoluzione delle dispute nel Mare Cinese Meridionale, ha spiegato il presidente del Consiglio Europeo. Nessun commento diretto alla sentenza, invece, da parte dell'Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza dell'Unione Europea, Federica Mogherini, che ha però sottolineato l'importanza di "affrontare le dispute marittime in maniera pacifica e nel pieno rispetto delle leggi e delle norme internazionali", di fonte agli studiosi dell'Accademia Cinese di Scienze Sociali, il maggiore think-tank di Pechino, per evitare possibili escalation.
La sentenza dell'Aia ha smosso anche altri due Paesi nella regione, Taiwan e Indonesia. La presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, ha pronunciato un discorso a bordo di una nave della Marina di Taipei prima della partenza per un pattugliamento all'isola di Taiping, rivendicata da Taipei, nel Mare Cinese Meridionale. "Questa missione navale serve a dimostrare la risolutezza del popolo taiwanese nella difesa dei nostri interessi nazionali", ha commentato Tsai. Taiwan aveva dimostrato la propria contrarietà verso la sentenza, spiegando di considerare Taiping, con i suoi 46 ettari, a pieno diritto un'isola nel Mare Cinese Meridionale.
L'Indonesia, invece, oggi ha dichiarato tramite il ministro per il Coordinamento degli Affari Marittimi, Rizal Ramli, che intende difendere la propria sovranità sull'isola di Natuna, oggetto di recenti schermaglie con la Cina, per paura di possibili "rivendicazioni che potrebbero danneggiare l'integrità dell'Indonesia". Su un versante più leggero, invece, la disputa tra Cina e Filippine sembra avere, intanto, la prima vittima: il mango delle Filippine. Gli utenti dei social media cinesi hanno chiesto di boicottare il frutto proveniente dal Paese del sud-est asiatico, tra le varietà più buone al mondo, a favore di quello importato dalla Thailandia. C'è anche chi si spinge a ipotizzare un boicottaggio, più in generale, delle importazioni dalle Filippine. "Così saremo sicuri che i nostri soldi rimarranno in Cina", ha commentato uno di loro.
13 LUGLIO 2016
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