Passa da Chimea il nuovo meridiano del business globale
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Passa da Chimea il nuovo meridiano del business globale

Passa da Chimea il nuovo meridiano del business globale

Aree emergenti. Le economie dalla Cina all'Africa
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Quando in Italia ci capita tra le mani un planisfero, ci aspettiamo che al suo centro ci sia l'Europa, gli Stati Uniti a sinistra e l'Asia a destra. Un americano, al contrario, è abituato a vederlo con il suo paese al centro, l'Asia a sinistra e l'Europa a destra. Ancora qualche anno, e le cartine del mondo potrebbero essere le stesse per tutti. Chi ci sarà al centro? L'Oceano indiano.
Benvenuti a Chimea. Cina, India, Medio Oriente, Africa. L'ombelico del nuovo mondo. La vera area emergente del futuro. Che come tutti i baricentri che si rispettano, è lambito da un unico mare. Dopo il Mediterraneo degli antichi e l'Atlantico del grande sogno americano, anche quel Pacifico che sta facendo oggi da scenario al dualismo Cina-Usa è destinato a cedere il passo.
A Chimea già vive la metà della popolazione mondiale, e arriverà ad ospitarne due terzi nel 2050. Qui si produce il 15% del prodotto interno lordo globale: era il 12% soltanto cinque anni fa, diventerà il 20% fra dieci anni. Qui approda un quinto di tutto il flusso di capitali che si muovono nel pianeta. Qui le esportazioni, nel terzo trimestre di quest'anno, sono cresciute in media del 20%, con punte del 32% per la Cina. L'Unione europea è riuscita a mettere a segno soltanto un più 8 per cento. E qui si terranno i Mondiali di calcio del 2022, che il Qatar si è aggiudicato la scorsa settimana.
Chimea non è nuova, la prima ipotesi sulla sua esistenza risale a un paio d'anni fa, partorita dalle menti di At Kearney. Ma la società di consulenza ha sentito l'esigenza di rilanciarla in questi giorni, perché nel settore petrolchimico Chimea è già oggi una realtà. Produce ad esempio il 20% di tutti i polimeri, e ne produrrà il 45% entro il 2020. Così come fra cinque anni Europa e Medio Oriente si scambieranno i ruoli: la prima diventerà un importatore netto di prodotti petrochimici, il secondo un esportatore.
Ha senso parlare di Chimea anche per altri settori? «Certo – risponde Dan Starta, autore del recente report di At Kearney (Starta è anche managing director di At Kearney Medio Oriente) - ritengo che nei prossimi dieci anni assisteremo a una crescita consistente di quest'area, che assumerà grande rilievo sia dal punto di vista economico sia degli scambi commerciali».
Le realtà che compongono Chimea sono perfettamente integrate: il Medio Oriente inietta petrolio nelle locomotive di Cina e India e capitali nello sviluppo dell'Africa; il continente nero garantisce materie prime e derrate agricole; mentre i due colossi asiatici riforniscono tutti di prodotti e servizi a prezzi competitivi.
L'ultima dimostrazione della crescente interdipendenza fra queste aree è della settimana scorsa: la Ads Holding di Abu Dhabi si è alleata con la Hutchison Port Holdings di Hong Kong per creare un consorzio che investirà nelle infrastrutture dell'Africa, quelle portuali in prima linea.
Ognuno gioca la propria partita, ma il risultato è a vantaggio di tutti. «Aziende occidentali incluse – assicura Dan Starta – che hanno molto da guadagnare dall'emergere di Chimea. Anzi, direi che una larga fetta dei benefici della crescita di quest'area sono già andati alle compagnie americane ed europee».
Per le imprese - anche italiane - che vogliono approfittare del business c'è spazio sia per le partnership con finalità produttiva, che per l'esportazione di beni e servizi. Qual'è la sponda giusta da scegliere, dell'Oceano Indiano? Molto dipende dal settore: «Per il lusso, ad esempio – spiega Starta – meglio il medio Oriente e la Cina. Quanto all'Africa, di tutta Chimea è forse l'area da cui si trarranno i frutti solo in un secondo momento. L'importante però è arrivare ora, considerato che ci vogliono tra i due e i cinque anni, a seconda dell'attività, per insediarsi appieno in un nuovo posto».
Nessun problema, invece, dal punto di vista logistico, per il quale Chimea può considerarsi un'area addirittura «sofisticata e matura», sostiene Starta: «Porti come quello di Dubai, o di Singapore, dove transitano un migliaio di navi container a settimana, sono grandi abbastanza per aumentare già oggi la propria capacità di traffico. Molto più di scali internazionali come Rotterdam o Amburgo, che invece sono saturi». La rete dei trasporti di Chimea è già lì, così come anche le catene retail in grado di distribuire i beni esportati dall'Europa. «A favore di Chimea – aggiunge Starta – gioca anche il fatto che non esiste un unico hub di riferimento, ma che c'è più di un centro logistico a cui appoggiarsi, tutti parimenti validi, e ben distribuiti lungo le coste». Quelle del nuovo oceano emergente.
micaela.cappellini@ilsole24ore.com
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Prove di alleanza
01|FINANZA
La cooperazione fra i paesi che fanno parte di Chimea è già cominciata. Sul fronte bancario, per esempio, l'area può contare sulla grande alleanza fra ICBC - la più grande banca commerciale della Cina - e Standard Bank, la più grande sudafricana, di cui l'istituto cinese ha acquisito il 20%
02|PETROLCHIMICO
Lo scorso maggio il gruppo saudita Sabic ha annunciato l'alleanza con il gigante cinese Sinopec per la realizzazione di un nuovo impianto petrolchimico a Tianjin. L'investimento previsto è di circa 2,7 miliardi di dollari
03| LOGISTICA
La Dubai Ports World sta sviluppando nuovi terminal in Cina, India, Vietnam e Pakistan. Dp World gestisce anche gli importanti scali africani di Dakar, in Senegal,e di Doraleh a Gibuti

06/12/2010
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