Di Alessandra Spalletta
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Roma, 23 giu. – La Cina sta attraversando una profonda revisione del proprio modello di sviluppo e punta a diventare un'economia di qualità basata su consumi, servizi e innovazione, con tassi di crescita moderati ma sostenibili. E' quanto emerge dalla settima edizione del rapporto annuale elaborato dal CeSIF (Centro Studi per l'Impresa Fondazione Italia-Cina) e pubblicato dalla Fondazione Italia Cina, presentato alla Farnesina alla presenza, tra gli altri, del presidente della Fondazione Cesare Romiti, del segretario generale del ministero degli Affari Esteri Elisabetta Belloni, del direttore generale per la promozione del sistema paese, Vincenzo De Luca, e del ministro consigliere dell'Ufficio Economico Commerciale dell'Ambasciata cinese in Italia Xiaofeng Xu.
Le imprese italiane devono imparare a fronteggiare una Cina a due velocità che da un lato registra un calo del Pil e delle esportazioni, ma dall'altro mostra un aumento dei consumi interni e dei servizi, oltre a distinguersi per la crescita degli investimenti all'estero di cui l'Italia è tra i principali destinatari. Dalle sfide politiche del presidente cinese Xi Jinping alla svolta dell'economia verso servizi e consumi, dall'accesso al mercato alle opportunità settoriali, dalle regolamentazioni ai settori verso cui si indirizzano le opportunità di business, il rapporto fornisce un outlook sulla Cina finalizzato a mostrare le prospettive per le imprese italiane in Cina. Con una novità importante quest'anno: "Abbiamo elaborato un'analisi verticale non solo per prodotti ma anche per province, molte delle quali hanno singolarmente la stessa dimensione demografica dell'Italia e sono fondamentali nel comprendere le prospettive per le nostre imprese", ha spiegato il presidente della Fondazione Italia Cina Cesare Romiti. "La Cina sta vivendo un momento non facile e ci spaventa il rallentamento del suo tasso di crescita – ha proseguito Romiti -. Ma il paese non ha esaurito le sue potenzialità e gli obiettivi fissati dal tredicesimo piano quinquennale, come per i piani dei passati quinquenni, sono aderenti alla realtà. Dobbiamo avere l'umiltà di entrare nello spirito cinese".
"Il cambiamento del modello di sviluppo non sarà breve. Passare da un modello quantitativo a una crescita qualitativa, quindi più equilibrata socialmente, economicamente, territorialmente, ci deve far pensare a come cambia per noi il quadro delle opportunità, e quindi considerare una strategia dell'Italia in Cina" ha dichiarato Vincenzo De Luca, il quale ha ricordato l'incessante attività diplomatica per favorire la presenza delle nostre imprese, dal comitato intergovernativo al business forum all'apertura di una nuova sede diplomatica a Chongqing. "Il prossimo rapporto dovrà saper cogliere gli investimenti italiani che arrivano a seguito di quelli tedeschi" ha aggiunto De Luca, perché "Il nostro interscambio è al di sotto delle possibilità". De Luca ha sottolineato l'importanza di costruire una strategia del sistema paese in Cina che deve "partire dal raggruppamento di tutti i soggetti con obiettivi di lungo periodo". In riferimento alla decisione del Parlamento europeo di non concedere alla Cina lo status di economia di mercato, De Luca ha spiegato che far crescere la Cina è nel nostro interesse: "Dobbiamo lavorare in uno spirito di collaborazione" ha aggiunto.
E un appello all'imprese per sostenere "in questa visione sinergica tutte quelle attività promosse nella direzione generale del sistema paese" lo ha lanciato Elisabetta Belloni, specificando che si tratta di attività che "mirano a creare quel contesto di interscambio culturale anche nell'ottica di agevolare la nostra presenza in Cina". "I rapporti tra Italia e Cina si articolano su diversi fronti, da quello economico a quello politico, da quello finanziario a quello culturale" ha detto Belloni. "Se è vero che le cifre dell'interscambio commerciali in termini assoluti sono significative, credo che si debba avere il coraggio di dire che si potrebbe fare decisamente di più".
Elemento cardine nello sviluppo delle relazioni tra Italia e Cina è "l'aeroporto di Fiumicino da cui partono oggi 40 voli settimanali che collegano i due Paesi": lo ha dichiarato il direttore marketing aviation di Aeroporti di Roma, Fausto Palombelli. "Alitalia tornerà a operare 4 quattro voli settimanali" ha aggiunto, in linea con le dichiarazioni del vice ministro ai Trasporti e Infrastrutture, Riccardo Nencini, il quale a margine della presentazione del Rapporto Enac per il 2015, ha detto che il Governo sta lavorando a livello di rapporti bilaterali per l'apertura di nuovi collegamenti aerei per l'Alitalia con Russia, Cina e Cuba.
Adeguarsi alle sfide è la chiave del successo
Il nuovo corso, denominato dai leader cinesi "New Normal", prevede che il paese non sia più capace di crescere a due cifre, come accaduto per molti anni, ma che alla corsa frenetica si sostituisca un ritmo più contenuto, sostenibile, che punti alla qualità non più sulla quantità. Nel 2015 la Cina è cresciuta 'solo' del 6,9% e il target di crescita per il 2016 non è fisso ma oscilla tra il 6,5% e il 7%. Il governo, inoltre, ha inserito tra le priorità del nuovo piano quinquennale, quello di mantenere una crescita annuale media del 6,5% fino al 2020 per centrare l'obiettivo di raddoppiare entro la fine del decennio il Pil procapite rispetto ai livelli del 2010. "I numeri indicano che l'economia è in trasformazione" ha affermato Alberto Rossi, uno degli autori del rapporto, responsabile marketing e analista del CeSIF."Il governo non può permettersi passi falsi mentre traghetta l'economia verso un modello più maturo – ha detto Rossi -. In caso di rischi, non si escludono manovre di stimolo indirizzate ad alcuni settori strategici e ai consumi". Il modello di sviluppo degli ultimi 20 anni basato su investimenti in capitale fisso, produzione a basso valore aggiunto ed esportazioni, ha portato a squilibri profondi, tra cui la sovraccapacità in alcuni settori, dall'acciaio all'alluminio. In attesa di portare a termine la trasformazione economica, Xi Jinping ha lanciato il piano "Una cintura, una via" ("One belt, one road") con l'obiettivo, di avviare una integrazione economica e infrastrutturale con i mercati del Sud-est asiatico, dell'Asia centrale, dell'Africa Orientale e dell'Europa, delocalizzando alcune delle industrie affette da sovraccapacità e crescita salariale.
Crescita meno rapida, quindi, non significa crescita lenta, ma sostenibile. Nel gennaio 2015, ha ricordato Rossi, le nuove normative ambientali hanno imposto la chiusura di molte aziende inquinanti, una misura che ha sicuramente "inciso sulla declinazione della produzione ma ha contribuito a combattere l'inquinamento, che da anni compromette la qualità dell'aria in Cina". Le parole chiave del cambiamento sono i "due cento", ovvero l'ambizione di raggiungere una società moderatamente prospera nel 2021 (a 100 anni dalla nascita del PCC) e un paese pienamente sviluppato nel 2049 (a 100 anni dalla nascita della Repubblica popolare cinese), e il "sogno cinese" che punta a forgiare un paese leader nell'innovazione nel 2020 e nella tecnologia nel 2025. Nel "New normal" dobbiamo abituarci a veder progressivamente calare non solo il tasso di crescita del Pil, ma anche gli investimenti pubblici - principale causa dell'attuale sovraccapacità e dell'aumento dei debiti soprattutto dopo gli stimoli post crisi 2008-09 -, e le esportazioni a basso costo, mentre vedremo lievitare i consumi interni, i servizi e la qualità del sistema industriale, centrale nella strategia del Made in China 2025 e di Internet Plus. Tra i temi chiave del 2016, il boom dei consumi la fa da padrone, incidendo sul Pil per i due terzi. Un risultato ragguardevole considerato che la Cina è un paese tradizionalmente caratterizzato da alti tassi di risparmio, anche a causa di un carente sistema di welfare: "I consumi privati rappresentano il 55% del Pil nelle economie a reddito medio, in Cina ancora il 38% ma è la quota più alta degli ultimi 15 anni" ha illustrato l'analista del CeSIF. "Dobbiamo considerare i consumi digitali: con poco meno di 1,4 miliardi di persone, 668 milioni navigano sul web, in pratica un cinese su due è connesso alla rete, il 50% degli utenti ha fatto acquisti online e di questi, il 90% lo ha fatto accedendo tramite dispositivo mobile". Un dato interessante fornito dal rapporto riguarda i settori verso cui si indirizzano i consumi urbani: se l'alimentazione rappresenta ancora un terzo delle spese ("conterà sempre meno"), il consumo dei beni durevoli rappresenta il doppio dei beni non durevoli, ovvero di sussistenza.
E arriviamo all'aumento dei salari, elemento centrale nella valutazione di una strategia di localizzazione per l'impresa. I costi aziendali sono aumentati anche in Cina: "In dieci anni gli stipendi si sono quintuplicati" ha scandito Rossi. In alcuni casi, aumentare il salario minimo è vista dal governo come una misura per allentare le tensioni sociali, come in Tibet e in Xinjiang. Oltre all'aumento dei costi del lavoro, anche l'invecchiamento della popolazione si inserisce tra i fattori che stanno incidente su una maggiore automazione industriale e sul ricorso sempre più sostenuto alla robotica industriale: "La Cina è il primo paese per stock di robot installati già nel 2016".
Oltre ai consumi interni, crescono i servizi, con una quota sulla composizione del Pil che nel 2015 ha superato per la prima volta il 50%. L'aumento dei servizi non riguarda solo le maggiori città - solo a Pechino incidono del 67% sul Pil-, ma anche le città di seconda fascia, in un paese dove il processo di urbanizzazione porta ogni anno 15 milioni di persone a trasferirsi dalle aree rurali a quelle urbane. In Cina le città con oltre 1 milioni di abitanti sono 143, in Europa 24, in Usa 9. "Entro il 2035 il 70% dei cinesi vivrà in 600 città" ha spiegato l'autore.
I cambiamenti interni sono profondi, quindi, e forieri di una trasformazione che mira a inserire nel tempo la Cina tra le economie mature. Le imprese percepiscono un calo dell'economia che non deve spaventare, ribadisce il rapporto. L'interscambio commerciale della Cina con il resto del mondo si è ridotto dell'8%, con una diminuzione che ha coinvolto le importazioni (-2,9%) più delle esportazioni (-14,2%), determinando un conseguente aumento del surplus. Anno negativo anche per l'export italiano con 2,4 miliardi di dollari in meno rispetto al 2014 (-12,56%), con il disavanzo che aumenta del 16% e l'interscambio che cala a 44,71 miliardi di dollari (-6,93%). I dati italiani sono in linea con quelli dell'Unione europea e sono l'altra faccia della medaglia del processo di riforme. La Cina, secondo il rapporto, offre ancora "molteplici opportunità per gli investitori italiani, ma rispetto al passato richiede una maggiore conoscenza delle dinamiche settoriali e locali in vista dell'ingresso nel mercato". "Dobbiamo cambiare approccio" spiega Alberto Rossi, anche perché "nessuna società con ambizioni di internazionalizzazione può permettersi di ignorare il mercato cinese". E il rapporto prevede che il volano dei consumi porterà a un enorme crescita del mercato nei prossimi 10-15 anni.
Adeguarsi alle sfide cinesi: è questa la chiave del successo per le imprese che vogliono fare affari in questo mercato. "Bisogna batterli sul loro stesso terreno, ovvero potenziando produzione e rete distributiva a basso costo, valutando lo spostamento a Ovest per sfruttare i vantaggi dei costi, ristrutturare le operazioni e ridurre i costi del lavoro" ha spiegato Rossi. Una strategia che non deve tralasciare di differenziarsi rispetto alle imprese locali perché competere su basi cinesi potrebbe essere controproducente, e allora meglio "concentrarsi sui mercati di fascia alta".
Le imprese italiane in Cina sono ad oggi 2.070 (1.650 in Cina e 420 a Hong Kong), con un numero di dipendenti pari a 137.500 e un fatturato totale di 17.500 milioni di euro. Piemonte, Lombardia e Veneto sono le regioni che investono di più. Chi investe in Cina? Hong Kong continua a essere il maggiore investitore in Cina, seguito da Isole Vergini, Singapore, Corea Del Sud, Giappone e Stati Uniti. La Germania è il primo paese europeo, l'Italia è sesto e il 18esimo nella classifica mondiale. Il manifatturiero è il settore che attrae i flussi principali di investimento con il 31%, seguono real estate (23%), banche e assicurazioni (12%), retail (9%), e costruzioni (8%). Dove puntare? Le sette industrie emergenti che secondo gli obiettivi del governo, dovranno rappresentare nel 2020 il 15% del Pil rispetto al 5% d3l 2010, sono quelle del risparmio energetico, delle tecnologie informatiche, delle biotecnologie, della produzione di macchinari avanzati, dell'energie alternative, dei nuovi materiali e dei veicoli ecologici. Non solo. Le opportunità indicate dal rapporto riguardano i settori alimentare, sanitario-farmaceutico, retail, beni di lusso, energia pulita, protezione ambientale, macchinari, auto motive.
Non è facile affacciarsi sul mercato cinese per le imprese europee, le quali subiscono un trattamento ambivalente. Da un lato, la Cina eleva muraglie di protezionismo, dal controllo sul mercato tramite bandi e aste per favorire imprese locali alla restrizione agli investimenti in alcuni settori, dall'accesso privilegiato al credito per le imprese statali sempre più competitive alla legge sulla sicurezza nazionale. "E' finita l'età dell'oro per le multinazionali" sottolinea il responsabile marketing CeSIF, ma ci sono elementi incoraggianti: "Un maggiore accesso al mercato, testimoniato dalla crescita delle free trade zone (Shanghai, Tianjin, Guangdong, Fujian) e dalla revisione del catalogo degli investimenti 2015 grazie al quale i settori ristretti passano da 79 a 38. Segnali, quindi, di apertura.
Se per le imprese europee uno dei principali ostacoli a investire in Cina resta la mancanza di conoscenza del mercato e di un adeguato percorso formativo, il CeSIF ha pubblicato nel 2015 il China Indicator of Provincial Business Attractivness (CIBA), un indice sintetico che misura il grado di attrattività delle provincie cinesi per l'export e gli investimenti diretti italiani in Cina.
Il turismo cinese che nel 2013 ha portato in Italia 478mila cinesi che potrebbero diventare 900mila nel 2016, rappresenta un'enorme potenzialità, non solo per i tour operator e le strutture alberghiere: "L'acquisto dei prodotti di lusso è uno dei motivi principali che spinge il turista cinese a viaggiare all'estero" si legge nel rapporto, "nel 2015 la spesa del turista cinese è cresciuta del 56%".
Crescono gli investimenti cinesi nel mondo, e l'Italia è tra i principali destinatari degli investitori cinesi con una crescita rispetto al 2014 del 32%. L'ultima acquisizione riguarda il mondo del calcio con l'ingresso dell'azienda cinese Suning nell'Inter rilevando il 68,55% del club nerazzurro . A fine 2015 sono 162 i gruppi cinesi presenti in Italia, 69 quelli con sede a Hong Kong. Le imprese italiane partecipate dai cinesi sono 417 con un giro d'affari di 12,2 miliardi di euro.
23 GIUGNO 2016
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