Pechino, 15 set.- A 10 anni dall'ingresso della Cina nella WTO - e proprio mentre a Bruxelles e dintorni il possibile sostegno di Pechino ai paesi più colpiti dalla crisi del debito pubblico diventa un tema incandescente - l'edizione 2011-2012 del "China Position Paper" realizzato dalla Camera di Commercio dell'Unione Europea in Cina presenta luci e ombre dei rapporti economici tra il Dragone e la Vecchia Europa.
Il dossier (scaricabile dal sito della EUCCC) contiene oltre 600 raccomandazioni che le 1600 società provenienti da tutta l'area Ue riunite sotto la bandiera dell'European Union Chamber of Commerce rivolgono ai policy-maker cinesi per "migliorare le regole di una sana competizione, aumentare la trasparenza e la prevedibilità dei processi legislativi e incoraggiare l'innovazione attraverso un'adeguata protezione della proprietà intellettuale". Dopo la conferenza stampa di Pechino, giovedì scorso, il "China Position Paper 2011-2012" sarà presentato al governo e alle autorità cinesi, alla Commissione Europea e ai governi degli stati membri dell'Ue. L'appuntamento con le compagnie e i rappresentanti del governo italiano è fissato per giovedì 22 settembre a Roma, in viale dell'Astronomia (qui il link all'evento).
Il presidente della Camera Davide Cucino si è complimentato per i contenuti nel 12simo Piano Quinquennale (2011- 2015), che sottolineano l'eccessiva dipendenza dell'economia cinese dagli investimenti e dalle esportazioni e, per correggere la situazione, pongono come obiettivo lo sviluppo del mercato interno, in particolare sul fronte dei servizi. "Si tratta di obiettivi che aumentano le nostre aspettative - ha detto Cucino - perché riteniamo che le compagnie europee posseggano tutte le caratteristiche necessarie per contribuire ulteriormente allo sviluppo della Cina. Ulteriori riforme e aperture attraverso la rimozione delle barriere applicate a tutti i concorrenti in gioco aumenterebbero la competizione e incoraggerebbero lo sviluppo dell'industria privata e delle piccole e medie imprese, per rafforzare lo sviluppo economico cinese nel lungo periodo. I problemi che abbiamo identificato rappresentano un buon punto di partenza per accelerare questo processo di riforme".
Tuttavia, questi obiettivi fissati dal governo non sempre trovano poi corrispondenza nelle norme applicate agli investimenti stranieri: "La mancanza di progressi nella rimozione delle barriere già esistenti e le recenti misure per restringere ulteriormente l'apertura del mercato suscitano delle domande sulle effettive intenzioni di creare opportunità durature per consentire a tutti gli attori di competere ad armi pari" si legge nella nota diffusa dalla Camera per presentare il rapporto.
Qualche esempio? Il settore delle "energie verdi", che per Pechino è una priorità, rappresenta anche uno di quei segmenti dai quali le società straniere temono di essere estromesse di fatto: le imprese che producono automobili alimentate da nuove fonti energia –in particolare le vetture elettriche- non possono essere controllate da compagnie estere se non fino a un massimo del 50% delle quote. Stessa cosa per le società attive nel settore dell'eolico offshore. Più in generale, secondo il dossier, permangono seri ostacoli nei settori delle costruzioni, dei servizi finanziari, nelle telecomunicazioni e nell'industria automobilistica.
Nel settore dei lavori pubblici, che in Cina vale mille miliardi di euro all'anno, le imprese straniere devono affrontare corruzione e favoritismi rivolti alle imprese cinesi nell'assegnazione degli appalti. Sul fronte delle telecomunicazioni, alle società straniere è "di fatto impedito di fornire servizi di base come telefonia fissa e mobile": "un operatore estero può entrare nel mercato solamente attraverso una joint venture con i tre operatori nazionali, ma in pratica ciò è reso impossibile dal fatto che tali compagnie non hanno intenzione di fornire accesso alle loro reti a partner stranieri".
E ancora, fa notare la Camera di Commercio dell'Unione Europea in Cina, nel settore delle costruzioni si assiste a un curioso paradosso per il quale "se si intende ottenere la licenza necessaria alla progettazione è indispensabile fornire un portfolio di progetti realizzati in Cina, ma è impossibile sviluppare un portfolio se si è privi di licenza". Per ottenere la licenza necessaria a fornire servizi nella costruzione, invece, i contractors "sono soggetti a alti requisiti di capitale e le compagnie di costruzioni a partecipazione straniera possono ottenere solo progetti speciali".
Una menzione speciale, poi, va alle definizioni di "sicurezza nazionale" e "infrastrutture critiche", che la Cina applica a un raggio molto più ampio di quello previsto dalle regole WTO. "Regolamenti cinesi come il 'Multi-Level Protection Scheme' e il 'Commercial Encryption Regulations' impediscono alle società cinesi con capitali stranieri attive nell'information security di competere in progetti commerciali in numerose aree, dalle assicurazioni a certi segmenti bancari fino, nel prossimo futuro, ai trasporti" si legge nel dossier.
Nel 2010 il commercio bilaterale tra la Cina e l'Unione europea ha quasi raggiunto quota 400 miliardi di euro e il Vecchio Continente rappresenta per Pechino il primo partner commerciale. Ma nello stesso anno il deficit commerciale tra il Dragone e l'Europa ha raggiunto quota 168.8 miliardi di euro, un gap che ha spinto Bruxelles a intraprendere numerose azioni antidumping contro la Cina. E mentre Pechino s'infuria, tra le società Ue cresce lo scontento per le barriere che vengono poste all'ingresso di beni e servizi europei. Il 43% delle compagnie europee (contro il 33% del 2010) ritiene che Pechino stia attuando misure discriminatorie verso i capitali e le società straniere; il 46%(contro il 36% del 2010) stima che queste politiche continueranno almeno per i prossimi due anni.
"Le società investono in certi mercati perché vogliono contribuire alla crescita di quel mercato, ma allo stesso tempo perché vogliono ottenere un trattamento leale - ha concluso Davide Cucino nel corso della presentazione - ma non esiste alcuna contraddizione tra la richiesta di maggiori profitti e quella di ottenere un trattamento uguale a quello delle società nazionali".
di Antonio Talia
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