Ondata di scioperi nel Guangdong
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Ondata di scioperi nel Guangdong

Ondata di scioperi nel Guangdong

Pechino. I lavoratori sono scesi in piazza contro i tagli salariali decisi da aziende manifatturiere straniere
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Nel Sud della Cina torna a montare la protesta operaia. A Shenzhen, a Dongguan, a Foshan, le città roccaforti dell'industria manifatturiera del Dragone, da qualche settimana la tensione è altissima.
Migliaia di lavoratori, perlopiù impiegati in fabbriche taiwanesi o di Hong Kong, sono scesi in sciopero paralizzando l'attività di diverse aziende locali. In questi giorni, insomma, nei distretti industriali del Guangdong si respira la stessa aria della calda primavera del 2010, quando gli operai di alcune società giapponesi (tra cui la Honda), incrociarono le braccia chiedendo migliori condizioni lavorative e salari più elevati.
Ma oggi le rivendicazioni della base operaia sono diverse da allora. Le maestranze sono scese in piazza per protestare contro i tagli salariali, perlopiù operati tramite la cancellazione degli straordinari, decisi da alcune aziende manifatturiere straniere per contrastare la caduta degli ordinativi. Una caduta dovuta principalmente alla riduzione della domanda interna negli Stati Uniti e in Europa che sta iniziando a produrre i suoi effetti sulle produzioni made in China.
Il caso più emblematico è quello di una grossa fabbrica taiwanese di scarpe di Dongguan fornitrice anche di Adidas e Nike: la settimana scorsa, 7mila operai hanno scioperato e hanno inscenato manifestazioni intorno alla fabbrica per protestare contro il taglio degli straordinari (una componente dello stipendio che fa lievitare notevolmente la busta paga dei lavoratori cinesi) e contro la delocalizzazione delle produzioni in altre aree della Cina dove il costo della manodopera è più basso, se non addirittura nel vicino Vietnam.
Intanto, le prospettive dell'industria manifatturiera cinese sono sempre meno brillanti. L'ultimo segnale inquietante è arrivato proprio ieri dall'indice Pmi elaborato dalla Hsbc che a novembre ha raggiunto il livello più basso degli ultimi trentadue mesi. Il Purchasing Managers Index è sceso a quota 48, ben 3 punti in meno rispetto al livello 51 segnato a ottobre.
Si tratta di una flessione superiore alle attese, che conferma il rallentamento del tasso di crescita dell'economia cinese già evidenziato dai dati relativi al terzo trimestre 2011, quando il prodotto interno lordo della superpotenza asiatica ha registrato il ritmo di espansione più lento degli ultimi due anni (+9,1%).
«Ma non è il caso di lasciarsi prendere dal panico», avverte Qu Hongbin, economista della stessa Hsbc. «Il fatto che l'inflazione stia scendendo, infatti, consente alla banca centrale di alleggerire la politica monetaria in modo da pilotare l'economia cinese verso un atterraggio morbido». Secondo le proiezioni effettuate dalla Hsbc sulla base dell'indice Pmi di novembre, la produzione industriale cinese dovrebbe ridurre il suo tasso di crescita intorno all'11-12 per cento, contro una media del 14% registrata nel 2011. Niente di drammatico, per carità. Tuttavia, Pechino reagirà sicuramente in modo energico alla frenata della congiuntura. Nei prossimi mesi, osservano molti economisti, se l'economia rallenterà ulteriormente il passo e l'inflazione proseguirà la discesa iniziata ad agosto, la People's Bank of China invertirà sicuramente la rotta per tentare di stimolare la crescita.
Ieri è arrivato un primo, timido passo in questa direzione: la banca centrale cinese ha tagliato di 50 punti base la riserva obbligatoria per una serie di piccole banche rurali. Non ci sarebbe da meravigliarsi se, prima della fine dell'anno, la Pboc decidesse di estendere il provvedimento anche ai grandi istituti di credito, su cui oggi grava la riserva obbligatoria più elevata di sempre.
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Il precedente
Nel giugno del 2010 violentissime proteste esplodono per le condizioni di lavoro e per i salari da fame in Cina: il primo caso che attira l'attenzione dei media internazionali è quello di Foxconn, il gigante dell'outsourcing di elettronica, colpito da una serie di suicidi.
I lavoratori denunciano i ritmi di lavoro e il clima irregimentato in azienda. La società reagisce alzando gli stipendi del 30 per cento

Le proteste si allargano
Una catena di scioperi nelle fabbriche che producono componenti per Honda (fermata con aumenti salariali), scontri e feriti a Kunshan, nell'Est della Cina, durante le proteste dei lavoratori dell'azienda taiwanese Kok continuano a tenere alta la tensione. La mappa delle aziende coinvolte nelle proteste e bloccate dagli scioperi si allarga rapidamente (Merry Electronics e Smartball Inc, solo per citarne un paio)

Le promesse di Wen
Il 15 giugno il Governo prende posizione: «Oggi i contadini che emigrano per andare a lavorare nelle fabbriche sono la principale risorsa della nostra industria. Il vostro lavoro deve essere rispettato dalla società. Ecco perché il Governo e l'intera società cinese devono trattare i giovani lavoratori emigrati come se fossero loro figli», ha concluso Wen offrendo ai suoi interlocutori la «massima comprensione» sulle loro istanze: condizioni di lavoro, tempo libero, straordinari

24/11/2011
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