Obama: la Cina non è una minaccia
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Obama: la Cina non è una minaccia

Obama: la Cina non è una minaccia

Il viaggio in Asia. Al summit dell'Apec a Singapore il presidente si impegna a mettere da parte il protezionismo degli Usa
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Mario Platero
SINGAPORE. Dal nostro inviato
Barack Obama, il «primo presidente americano del Pacifico», come si è definito lui stesso, ha portato ieri un vento nuovo ai 21 paesi che partecipano a Singapore al vertice Apec: ha promesso un coinvolgimento senza precedenti nella regione, passi concreti per liberalizzare i commerci avanzando il dialogo con la Trans-Pacific Economic Partenership e ha enunciato una visione politica di forte apertura, pragmatica, nei confronti della Cina, «che non ha bisogno di essere contenuta», come aveva detto ieri mattina in un discorso sugli equilibri regionali asiatici a Suntory Hall a Tokyo.
Obama, con i suoi interventi, ha anche mandato un messaggio indiretto a Washington: il postulato politico che ha dominato la posizione democratica negli ultimi tre anni, linea dura sul fronte commerciale per proteggere i posti di lavoro americani con l'innalzamento se necessario di barriere tariffarie, deve cambiare: «In questo momento - ha chiarito a tutti Obama - milioni di posti di lavoro molto ben pagati in America dipendono dalle nostre esportazioni. Aumentare quelle esportazioni anche di poco ha il potenziale di creare milioni di posti di lavoro in più».
Il cambiamento di rotta proposto da Obama è necessario, la ripresa americana non sta creando nuovi posti di lavoro, il tasso di disoccupazione è già al 10,2%, quello di sottoccupazione è al 17,5% con quasi 20 milioni di americani senza prospettive di avere entro breve un impiego. Fonti al seguito della Casa Bianca hanno confermato che è giunto il momento di giocare tutte le carte per rilanciare l'occupazione. E l'aumento dell'interscambio commerciale sarà la più importante. Nella speranza che l'America guadagni più che in passato grazie anche alla competitività garantita dal dollaro sempre più debole.
I due obiettivi più immediati diventano ora il recupero di un accordo bilaterale per il libero scambio con la Corea del Sud, fermo in Congresso, e l'avvio di un negoziato per dare maggiore respiro e una forma nuova alla Trans-Pacific Economic Partnership: «Dobbiamo approfondire il dialogo con i paesi membri (gli Usa non lo sono, ndr) con l'obiettivo di costruire un accordo regionale che diventi una base di membership quanto più amplia possibile, con gli standard degni di un accordo commerciale per il Ventunesimo secolo», ha detto ieri Obama. In attesa che l'Apec vari come promesso un'area per il libero scambio entro il 2020, un gruppetto di quattro paesi, Nuova Zelanda, Brunei, Cile e Singapore, ha lanciato la Trans-Pacific Strategic Economic Partnership, un'area di libero scambio che riduce del 90% le tariffe e che potrebbe essere estesa ad Australia, Perù, Vietnam e ora agli Stati Uniti.
L'altro fronte su cui ha battuto Obama è quello della messa a punto di strategie macroeconomiche che riflettano le direttive del G-20: ciascuno dovrà aggiustare i propri squilibri, a partire dall'America che consumerà e si indebiterà di meno.
A Singapore il presidente ha ripetuto il messaggio lanciato ieri a Tokyo, nel discorso alla Suntory Hall, volto a rassicurare il Giappone sul suo ruolo di interlocutore privilegiato e centrale degli Stati Uniti nonostante l'ascesa cinese. E ha dimostrato nei fatti di portare il suo proverbiale pragmatismo anche in questa regione. Obama si incontrerà oggi con il premier birmano, al quale chiederà la liberazione dei prigionieri politici, a cominciare da Aung San Suu Kyi. Affrontando nel discorso di Tokyo la questione dei diritti civili e umani in Cina, Obama ha di nuovo offerto un messaggio di apertura: «Con Pechino abbiamo differenze sul rispetto di libertà religiose e culturali, ma possiamo discuterne nell'ambito della partnership invece che del rancore. È importante avere una cooperazione pragmatica con Pechino, gli Stati Uniti non vogliono contenere la Cina. Al contrario, l'emergere di una Cina prospera diventa fonte di forza per la comunità internazionale». «In un mondo interconnesso - ha aggiunto - il potere non deve essere un gioco a somma zero e le nazioni non devono temere il successo delle altre».
Oggi Obama incontrerà anche il presidente russo Medvedev al quale chiederà di considerare seriamente le ipotesi di sanzioni contro l'Iran dopo i passi indietro nel dialogo per la denuclearizzazione di Teheran. Sarà anche l'occasione per fare il punto sull'obiettivo di firmare entro l'anno un nuovo accordo sul disarmo. Infine un messaggio per dare credibilità al suo abbraccio alla regione asiatica al di là della retorica: «Sono un presidente americano nato alla Hawaii che ha vissuto in Indonesia da ragazzino, sono venuto a prendere i gelati in Giappone con mia madre, mia sorella Maya è sposata con un sino canadese, mia madre ha lavorato in Asia: il bacino del Pacifico ha contribuito alla formazione della mia visione del mondo, sono il primo presidente del Pacifico».
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15/11/2009
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