Obama: la Cina apra il mercato
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Obama: la Cina apra il mercato

Obama: la Cina apra il mercato

Stati Uniti. Il presidente alza il tiro parlando ai senatori democratici ma dice no alla revoca degli accordi commerciali
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Daniela Roveda
LOS ANGELES
Barack Obama alza di nuovo il tiro sulla Cina. Il giorno dopo l'invito ufficiale al Dalai Lama, cinque giorni dopo la furiosa reazione cinese a una fornitura di armi a Taiwan, il presidente americano ha promesso ieri che intensificherà le pressioni su Pechino per ottenere una maggiore apertura dei mercati cinesi alla concorrenza estera e un rapporto di cambio più equo. «Sono contrario però a revocare gli accordi commerciali stretti con la Cina - ha affermato Obama parlando ai senatori democratici, e lanciando un avvertimento quindi al movimento filo-protezionista - la crescita della nostra economia dipende dalla crescita delle nostre esportazioni, e la Cina continuerà a essere uno dei maggiori mercati del mondo».
Fino a che punto Obama sia disposto a forzare la mano non è chiaro. Sono anni che gli Stati Uniti protestano per la sottovalutazione dello yuan, e sono anni che la Cina respinge le pressioni sostenendo che la politica valutaria è una questione interna. «Dobbiamo assicurare che i prezzi dei nostri prodotti non siano tenuti artificialmente alti e i loro non siano tenuti artificialmente bassi - ha detto però Obama - ciò ci dà un chiaro svantaggio competitivo». Le esportazioni cinesi negli Stati Uniti nel 2008 erano pari a 337 miliardi di dollari mentre le esportazioni americane in Cina erano nell'ordine di 71 miliardi. Lo squilibrio commerciale è in parte da ricondursi a uno squilibrio valutario: lo yuan è sottovalutato del 30% nei confronti delle valute internazionali e del 40% rispetto al dollaro secondo le recenti stime del Peterson Institute.
La lista delle lamentele americane in materia commerciale è lunga e spazia dalla pirateria rampante di cd e dvd alla scarsa protezione della proprietà intellettuale. Finora l'amministrazione Obama si è limitata a intervenire due volte, con l'imposizione di tariffe sugli pneumatici e le tubature d'acciaio, evitando ritorsioni commerciali di altro tipo. L'intervento di ieri, in un momento di grande attrito, suggerisce che il presidente americano abbia intenzione di giocare più duro.
La tensione tra Pechino e Washington è esplosa mercoledì scorso con l'approvazione di una fornitura di armi a Taiwan e la reazione violenta della Cina. In tutta risposta l'amministrazione Usa ha annunciato martedì l'imminente incontro del presidente Usa con il Dalai Lama, leader spirituale del Tibet, che da anni denuncia la Cina per la violazione dei diritti umani. E proprio ieri il senatore democratico Dick Durbin ha rivelato di aver chiesto a 30 società high tech tra cui Facebook, Apple e Skype che posizione hanno sulla questione della censura in Cina. Durbin vuole sapere se sono disposte a seguire l'esempio di Google, che il mese scorso ha rifiutato di cooperare con il governo cinese sulla censura in Internet.
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04/02/2010
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