Pechino, 19 feb. Non si è fatta attendere la risposta cinese ai colloqui tra Barack Obama e il Dalai Lama, nonostante la nazione sia impegnata nei lunghi festeggiamenti per il Capodanno Cinese: "L'azione americana rappresenta una seria interferenza negli affari interni della Cina, ha seriamente ferito i sentimenti del popolo cinese e seriamente danneggiato le relazioni tra Cina e Stati Uniti" ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Ma Zhaouxu. Secondo il portavoce l'incontro "viola grossolanamente le norme delle relazioni internazionali"; la Cina ha anche chiesto agli Stati Uniti di "eliminare l'impatto pernicioso di questo incontro", senza entrare nei dettagli sul come farlo, e l'ambasciatore USA Jon Huntsman a Pechino è stato richiamato ufficialmente: tutte reazioni rabbiose, ma scontate, come quelle che contraddistinguono ogni uscita pubblica del leader religioso tibetano. Da quando nel 1959 il Dalai
Lama andò in esilio a Dharamsala, in India, in seguito alla rivolta scoppiata in Tibet e alla dura repressione che ne seguì, Pechino lo ha sempre definito "un lupo travestito da monaco" che punta alla costruzione di un "Grande Tibet" staccato dalla Cina. Un'accusa che venne reiterata anche nel 2008, durante l'ennesimo scoppio di proteste nelle regioni tibetane. Il Dalai Lama, da parte sua, continua a sostenere di voler richiedere a Pechino solo un'autonomia più articolata per il Tibet, posizione ribadita anche dopo l'incontro con Barack Obama: "Siamo pienamente intenzionati a rimanere con la Repubblica Popolare Cinese, nel nostro interesse - ha detto il monaco - visto che il Tibet è un paese privo di sbocchi sul mare e molto, molto periferico". Secondo i portavoce della presidenza USA l'incontro a porte chiuse è durato 45 minuti, alla fine dei quali Barack Obama ha "confermato il suo forte sostegno alla conservazione
delle caratteristiche religiose, linguistiche e culturali uniche, proprie della civiltà tibetana", "alla difesa dei diritti umani del Popolo Tibetano all'interno della Repubblica Popolare Cinese" e "all'approccio moderato e non violento adottato dal Dalai Lama". La Casa Bianca ha cercato di mantenere un certo understatement nell'organizzazione dell'incontro per sminuire le polemiche da parte cinese, ad esempio attraverso lo svolgimento nella Sala delle Mappe anziché nella Sala Ovale da sempre dedicata ai colloqui con altri capi di Stato, ma la reazione è stata, come sempre, di strenua opposizione. Nonostante l'incontro sia avvenuto dopo mesi di tensioni tra Cina e Stati Uniti (attraverso il caso Google, le polemiche sull'apprezzamento dello yuan e quelle sulla vendita di armi americane a Taiwan) che avevano suscitato numerosi commenti su un rinnovato clima da Guerra Fredda, molti analisti ritengono che l'incontro di ieri
avrà scarse ripercussioni sulle relazioni sino-americane: il Dalai Lama ha incontrato ogni singolo Presidente degli Stati Uniti dall'amministrazione di George Bush padre in poi. Se di tensioni sottotraccia si tratta, probabilmente esse covano su altre questioni, lontano da quello che ormai sembra quasi diventato un gioco delle parti.
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