Pechino, 14 set. - Lo yuan tocca un nuovo record sul dollaro e la partita intorno alla rivalutazione della moneta cinese si fa sempre più complessa. La Banca centrale cinese ha fissato oggi il tasso di parità sul biglietto verde a 6.7378, dopo il 6.7509 di ieri e il 6.7625 di venerdì scorso: la Cina custodisce gelosamente la propria indipendenza e respinge da sempre le influenze esterne sulle politiche valutarie, ma la manovra arriva giusto alla vigilia dell'incontro della House Ways and Means Committee, la commissione della House of Representatives USA che proprio domani discuterà le eventuali sanzioni commerciali da applicare alla Cina se Pechino non dovesse procedere verso un ulteriore apprezzamento della sua divisa. Lo yuan-renminbi, com'è noto, è una moneta non convertibile: tra il 2005 e il 2008 la Banca centrale aveva consentito una graduale rivalutazione della divisa, interrotta poi all'emergere della crisi globale con il ritorno all'ancoraggio con il dollaro.
La misura aveva attirato le critiche di Washington e Bruxelles: uno yuan sottostimato era capace di garantire alle merci cinesi un vantaggio sleale sui mercati internazionali e contemporaneamente sbarrare le porte dell'immenso mercato del Dragone ai beni stranieri, meno convenienti proprio a causa del tasso di cambio. Nel giugno di quest'anno People's Bank of China ha di nuovo ampliato la banda di oscillazione dello yuan, che in tre mesi si è apprezzato sul dollaro di circa l'1.3%, ma per la politica americana non è ancora abbastanza: negli Usa le elezioni di mid-term di novembre si fanno sempre più vicine, e i parlamentari statunitensi devono affrontare le crescenti pressioni dei cittadini, che chiedono più posti di lavoro. Una gruppo bipartisan di 93 parlamentari ha messo a punto una proposta di legge per applicare sanzioni economiche sulle merci cinesi, e ieri - non ancora a conoscenza della nuova rivalutazione lanciata da Pechino - lo stesso Segretario del Tesoro Timothy Geithner ha dichiarato che la Cina "sta facendo molto, molto poco" sull'apprezzamento dello yuan.
Da Tianjin, dov'è in corso il meeting estivo del World Economic Forum di Davos, il premier Wen Jiabao ha difeso il surplus commerciale cinese, che ad agosto ha registrato il secondo livello più alto dell'anno toccando quota 20 miliardi di dollari: "Non perseguiamo il surplus commerciale – ha detto il Primo ministro, senza menzionare la questione dello yuan - e la crescita economica cinese ha creato moltissime opportunità per le società straniere. La Cina è diventata un importante motore per la ripresa globale". Ma da Pechino arrivano risposte più piccate, anche se non provengono da fonti ufficiali: "La Cina è il mercato in cui l'export di prodotti americani cresce più velocemente - ha detto l'economista del Centro Ricerche e Sviluppo Ding Yifan - e se l'America iniziasse una guerra commerciale ne uscirebbe perdente".
Ding, che fa parte di un think tank molto vicino al governo, ha addirittura ricordato che l'economia americana subirebbe un duro contraccolpo se la Cina decidesse di vendere parte delle sue immense riserve di titoli di Stato USA, una mossa che nessun leader ha mai ufficialmente minacciato a causa dell'effetto boomerang che avrebbe sugli interessi del Dragone. Cosa succederà mercoledì a Washington? La House of Representatives deciderà di accogliere la nuova rivalutazione come un gesto di buona volontà o i 93 parlamentari continueranno a premere per lo scontro diretto? "La Cina sta utilizzando la politica di apprezzare lo yuan quando il dollaro scende e indebolirlo se la moneta americana sale, una politica che di fatto neutralizza l'impatto dei cambiamenti sulle sue esportazioni, - ha dichiarato Tom Orlik, analista a Pechino per Stone & McCarthy - ma anche se personalmente non vedo nessun rapido progresso, la nuova rivalutazione può offrire una foglia di fico all'amministrazione USA e spingere la House of Representatives a un atteggiamento più moderato".
© Riproduzione riservata