Roma, 22 set.- Continua il braccio di ferro tra Pechino e Tokyo per il rilascio di Zhan Qixiong. Mentre il capitano del peschereccio cinese sequestrato dalle motovedette giapponesi si trova ancora in stato di fermo, il Giappone preme per un incontro ad alto livello con la Cina per la ripresa degli scambi bilaterali sospesi dal governo cinese. "Sarebbe bene" ha detto il capo del gabinetto nipponico Yoshito Sengoku "fissare quanto prima un incontro che permetta di riavviare un dialogo aperto e strategico". Fermo il no di Pechino alla proposta di Sengoku: "Insisto affinché il Giappone rilasci immediatamente lo skipper" ha rilanciato il premier Wen Jiabao. "Se persevererà nel suo errore, la Cina prenderà ulteriori provvedimenti e il Giappone si troverà ad affrontare tutte le conseguenze che ne deriveranno": così il premier ha rincarato la dose, per poi precisare che solo così i rapporti tra le due potenze potranno rientrare in carreggiata. Condizione che però non sembra allettare il Giappone; quest'ultimo, sebbene si dica favorevole al dialogo e mettere così la parola fine alla faida, non sembra disposto ad accogliere le rivendicazioni territoriali avanzate dalla Cina. "Non c'è alcun problema territoriale" ha dichiarato il ministro degli Esteri giapponese Seiji Maehara.
In realtà secondo molti osservatori sotto la facciata ci sarebbe proprio un "problema territoriale": quello delle acque delle isole Diaoyu, terre contese tra le due potenze, ricche di energia che le proiezioni cinesi valutano in circa 20mn di barili di petrolio e gas naturale, pari quindi al 20% delle riserve cinesi stimate. Il 7 settembre al largo delle isole un peschereccio cinese è stato sequestrato a seguito di una collisione dell'imbarcazione con due motovedette giapponesi. Ne è seguito l'arresto di 14 pescatori, rilasciati poco dopo, e del capitano dell'equipaggio, ancora in stato di arresto nonostante domenica scorsa siano scaduti i 10 giorni di fermo previsti dalla legge giapponese. La detenzione dell'uomo ha dato inizio a un incessante botta e risposta tra la Cina e il Giappone che ha visto il blocco degli scambi bilaterali a livello ministeriale, lo stop ai colloqui sull'incremento dei voli da e per il Giappone, il rinvio del summit sullo sfruttamento del carbone, il 'divieto di Expo' a 1000 ragazzi giapponesi in procinto di partire per il regno di Mezzo e la diffusione a macchia di leopardo di molte proteste anti-Giappone nel vasto territorio cinese. Prima fra tutte, quella di un gruppo di attivisti che per manifestare hanno scelto una nave di 45 metri con la quale sono salpati dal porto di Hong Kong diretti verso le isole Diaoyu. Il gruppo - guidato da alcuni membri dell'Action Committee for Defending the Diaoyu Islands - è stato subito inseguito da due imbarcazioni della polizia marittima di Hong Kong che hanno bloccato la barca autorizzata al trasporto di persone per via della licenza di peschereccio. Il crescente sentimento nazionalista che anima le proteste anti-nipponiche fanno avanzare tesi sulla dubbia capacità del PCC (Partito Comunista Cinese) di mantenere la presa su un movimento apparentemente spontaneo, i cui picchi più accesi sembrerebbe sfuggire di mano al controllo di Pechino.
Le proteste cinesi affondano le loro radici in un più lontano retroterra: il sentimento antinipponico risale ai tempi della seconda guerra mondiale quando la Cina subì l'invasione giapponese. Col tempo le relazioni tra i due Paesi sono lentamente riprese per poi incrinarsi nuovamente nel periodo 2001-2006 sotto la premiership del primo ministro conservatore Junichiro Koizumi a causa delle sue annuali visite al santuario Yasukuni a Tokyo, eretto per onorare 2,5 milioni di giapponesi (tra cui criminali di guerra) che avevano perso la vita durante il conflitto. I rapporti sono stati riallacciati con il successore di Koizumi che si è astenuto dalla visita al santuario simbolo dell'imperialismo di Tokyo. Nel 2007 Wen Jiabao ha definitivamente rotto il ghiaccio dando di nuovo inizio alle visite a livello di capi di Stato Giappone. Gli ultimi eventi hanno gettato una nuova ombra nei rapporti tra il Pechino e Tokyo e sono in molti a prevedere ulteriori contraccolpi fino a quando il Giappone non acconsentirà al rilascio di Zhan Qixiong. In settimana il conflitto tra le due potenze asiatiche, che sta destando anche le preoccupazioni di Washington, si è trasferito a New York dove è in corso l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Wen Jiabao e Naoko Tan saranno impegnati, in data non ancora nota, in un colloquio con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. E già prima di Obama il vice segretario di stato americano James Steinberg aveva definito "sfortunati" gli eventi in corso in Asia, ricordando inoltre che "è nell'interesse degli Stati Uniti e di tutti che tra la Cina e il Giappone corra buon sangue". A New York nel frattempo si vocifera ancora sulla possibilità di un incontro tra i due premier: alla domanda se Naoto Kan dovrebbe tentare un colloquio con Wen nel corso del vertice dell'ONU, Sengoku ha risposto che potrebbe essere una soluzione. Martedì la Cina aveva però già escluso ogni possibilità a riguardo: "Non c'è un'atmosfera adatta per questo tipo di meeting. La controversia ha danneggiato seriamente le relazioni" ha riferito la portavoce del ministero degli Esteri Jiang Yu.
di Sonia Montrella
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