A 48 ore dall’accordo raggiunto a Washington, calano i timori di una guerra commerciale tra Usa e Cina, che nessuna delle due principali economie del mondo ha intenzione di combattere. Lo avevano anticipato dagli analisti interpellati dall’Agi, a cominciare dall’economista Michele Geraci. “Dopo una escalation a parabola, le tensioni si allentano”, commenta l'adjunct professor di finanza presso la New York University di Shanghai. “Sfidarsi sul commercio può servire a ottenere concessioni più ampie anche su altri campi e arrivare a un obiettivo di comune interesse”. Da una guerra di dazi, a perdere di più sarebbe potenzialmente la Cina, che ha un altissimo surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti (370 miliardi di dollari). Ma il negoziato per evitare la 'trade war' è entrato in una nuova fase delicata e si sovrappone a quella nucleare con la Corea del Nord.
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Il ripristino dei colloqui sulla denuclearizzazione (punto che resta divergente) sono sfociati nella dichiarazione di Panmunjom, siglata dalle due Coree il 27 aprile scorso, e nell’attesissimo vertice Trump-Kim, sul quale tuttavia aumentano i dubbi dopo che il presidente americano ha ammesso che il summit a Singapore potrebbe slittare oltre la data programmata del 12 giugno. La metamorfosi pacifista di Kim è frutto di un intenso lavoro diplomatico, orchestrato soprattutto da Seul e da Pechino.
Xi Jinping ha incontrato Kim Jong-un ben due volte. Di certo non direttamente per scongiurare una guerra commerciale con Trump, risolta per il momento con la sospensione dei dazi. Ma è evidente che nei colloqui per allentare le tensioni commerciali si è incuneata la partita coreana, specie dopo le ultime dichiarazioni del presidente americano, il quale, perso l'iniziale ottimismo, non è contento della bozza di accordo discussa finora; la tregua, per lui, è solo “all’inizio”.
La contrarietà di Trump si rivolge proprio nei confronti del suo “amico” Xi Jinping: l' “influenza” della Cina nelle scelte della Corea del Nord, all’inquilino della Casa Bianca non piace per niente. Il sospetto è che Xi abbia convinto a Kim a mettere in discussione il vertice di Singapore per ottenere maggiori concessioni sui delicati negoziati commerciali. Lo ha dichiarato nelle scorse ore lo stesso presidente Usa con a fianco Moon Jae-in, giunto a Washington per mediare in vista del summit tra Usa e Corea del Nord - dato da Seul al 99,9%. Alla discussione sull'attesissimo summit si è aggiunto in queste ore il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi.
“Pechino ha una fortissima influenza su Pyongyang. Trump, Xi e lo stesso Kim volevano risolvere la questione coreana in modo pacifico. C’è stato un allineamento di pianeti: la minaccia di una guerra commerciale sino-americana, l’escalation missilistica di Pyongyang, la perdita di investimenti cinesi nel mercato americano. E’ così che, passando attraverso momenti di massima tensione, è stato trovato un equilibrio che conviene a tutti”, dice Geraci. Equilibrio che tuttavia resta delicato.
Non è escluso che Trump sia preoccupato dalla possibilità che l’influenza della Cina perda di efficacia dopo il summit con Kim, e per questo stia pensando di allungarne i tempi. Specularmente apre a una denuclearizzazione graduale (pur preferendo un’unica soluzione) dopo la bufera sul segretario di Stato John Bolton che aveva proposto il modello libico in riferimento allo smantellamento dell’arsenale nucleare nord-coreano, spingendo il leader nord-coreano a mettere in discussione il dialogo sul disarmo. Con lo zampino di Xi - sospetta Trump. "Il capo della Casa Bianca gioca come sempre la carta dell'imprevedibilità per spiazzare gli avversari, una strategia che in passato ha spesso funzionato", ammette Geraci.
A tre settimane dallo storico summit di Singapore, gli Stati Uniti hanno già stampato una medaglia commemorativa. Nonostante i reciproci sospetti, gli analisti sono convinti che lo storico incontro tra i due leader si terrà. Meno certo è l'esito. "Zero concessioni a Pyongyang. E nessuna intenzione di farne", ha dichiarato il segretario di Stato Mike Pompeo, il quale si è recato in Corea del Nord ben due volte, rimpatriando i tre prigionieri coreani-americani.
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Mentre Washington tende la mano a Zte (che tuttavia teme perdite per 2,6 miliardi di euro per il bando Usa sulle forniture di componenti), Pechino taglia i dazi sulle importazioni di componentistica auto dal 25% al 15% a partire da luglio. Trump vuole di più e pretende “sostanza dopo le promesse”. Il motivo è semplice: “Dopo l'incontro con Kim, teme di perdere potere negoziale nei confronti della Cina, il cui ruolo sulla Corea a quel punto paradossalmente potrebbe diminuire”, conclude Geraci.