«Nient'altro che la verità, il credito, l'imparzialità». Dagong, l'agenzia di rating cinese, non lascia scanso ad equivoci: i voti che assegna in giro per il mondo – annuncia nella prima pagina del suo sito Internet – non sono altro che la verità. Ma anche Kroll Bond Rating, agenzia di valutazione americana creata da una costola della famoso gruppo di investigazione, non scherza in quanto ai motti: «A differenza delle altre agenzie – spiega nel suo sito Internet – le nostre metodologie di valutazione si basano sulla filosofia dello scetticismo, su sofisticati modelli, sua una diligente attività di investigazione». Tanto di cappello, c'è veramente da fidarsi.
Ma messaggi simili si vedono un po' su tutte le home page delle innumerevoli agenzie di rating che sentenziano in giro per il mondo: anche la stessa Moody's, che si autodefinisce «una componente essenziale dei mercati globali», non lesina la modestia. E non lo fa neppure A.M. Best, valutatore americano dedicato al settore assicurativo, che si presenta con questo motto: «I migliori rating e le migliori analisi». Peccato, però, che le «verità» di tutti questi valutatori siano tutte diverse le une dalle altre. E peccato soprattutto che troppe agenzie cadano nel "vizietto" di concedere rating un po' più benevoli al proprio Paese rispetto agli altri. Basta mettere a confronto le pagelle di alcune delle innumerevoli agenzie (se ne contano a decine in ogni parte del mondo, anche in Sud Africa e in Sud America) per capire cosa siano i rating: semplici opinioni. Tutte diverse.
Casa dolce casa
Dagong, l'agenzia di rating cinese, assegna per esempio una patriottica "Tripla A" alla Cina. Insomma: agli occhi degli analisti locali, la Repubblica Popolare è solida come una roccia. Tanto forte che più volte, in diversi comunicati stampa, Dagong ha confermato e stra-confermato quella "Tripla A". Ben meno forti sono invece gli Stati Uniti, che – secondo la verità degli analisti di Dagong – meritano una misera "A" con prospettive negative: si tratta di cinque gradini in meno. Ovvio, si dirà: gli Usa hanno un debito pari al 100% del Pil.
La stessa ovvietà, però, tanto ovvia non è per Moody's. L'americanissima agenzia di rating quotata a Wall Street sembra infatti restituire il favore alla concorrente cinese: secondo i suoi analisti sono gli Stati Uniti a meritare la "Tripla A" (seppur con prospettive «negative»), mentre la Repubblica Popolare si deve accontentare di una più modesta "Aa3". Cioè tre gradini sotto il paradiso. Standard & Poor's, nonostante la nazionalità statunitense, ha avuto il coraggio di bocciare la madrepatria a "AA+". E già c'è chi, sui blog, la "bolla" come vicina ai Repubblicani. Ma comunque anche S&P non va oltre la "AA-" quando valuta la Cina.
Anche i Giapponesi non si tirano indietro nel campanilismo. Indovinate che giudizio assegna la Japan Credit Rating al proprio Paese? Una "Tripla A", che domande. Poco importa se il Giappone abbia un debito pubblico pari al 233% del Pil (stima del Fondo monetario internazionale): una sana "Tripla A" non si nega mai al proprio governo. Sarebbe scortese. A onor del vero, la Japan Credit Rating è anche l'agenzia più benevola con l'Italia: secondo i suoi analisti anche il nostro rating vale un'altissima "AA". Sarà che di fronte a una "Tripla A" assegnata al Giappone, non potevano buttare l'Italia troppo in basso: in fondo Roma nuota "solo" in un debito pari al 120% del Pil.
Un po' più cauta è invece l'altra agenzia giapponese, la R&I: ha appena declassato il proprio paese alla "AA+". Cioè un gradino sotto la "Tripla A". Per contro, però, R&I si sfoga contro la Cina, valutata solo "A+": si tratta dello stesso voto che i suoi analisti assegnano anche all'Italia. Insomma: ai loro occhi la crisi italiana non è molto dissimile dal miracolo cinese. Ora non resta che creare un'agenzia di rating europea. O (perché no?) solamente italiana: chissà che, in questo modo, anche per noi non possa arrivare presto una credibilissima "Tripla A"...
Ognuno dice la sua
Le decine di agenzie di valutazione che girano sui mercati finanziari, in realtà, litigano anche quando valutano gli altri. Basta confrontare i rating che vengono assegnati a un Paese come l'Italia, per capirlo: «Il Sole 24 Ore» ne ha confrontati sette, trovando cinque diverse valutazioni. La cinese Dagong è la più severa, dato che all'Italia assegna una "BBB" con prospettive negative: due passi soli dai rating speculativi. Proprio ieri la stessa Dagong ha sentenziato che i debiti dei Paesi europei nel 2012 diventeranno «ancora più insostenibili».
In questo giudizio i cinesi sono in sintonia con gli americani di Standard & Poor's, che pochi giorni fa hanno declassato mezza Europa e l'Italia al livello "BBB+": un solo gradino sopra i severi cinesi. Fitch e la canadese DBRS sono i più benevoli con il Belpaese, dato che ci tengono nel campo delle "A". Ma gli analisti che più si fidano di noi, come detto, sono i giapponesi. E disparità simili ci sono nei confronti di tanti altri Paesi: anche la Spagna ha cinque rating diversi su sette agenzie.
Le differenze sono facilmente spiegabili: ogni agenzia ha i suoi metodi di valutazione. «C'è poi anche una differenza culturale che separa gli analisti in Cina o in Europa», osserva un ex dirigente di uno dei big delle pagelle. Ma forse la spiegazione è anche un'altra: le agenzie vengono pagate in gran parte dalle società che devono valutare e in parte minore dal mercato. Poche agenzie si fanno pagare esclusivamente dal mercato: per esempio l'americana Egan-Jones. Questi diversi "committenti" possono creare differenze di "vedute"? Le agenzie lo negano. Tanti lo temono.
Sta di fatto che, a prescindere da chi le paga, la domanda è: come fa il mercato, e soprattutto l'intera industria del risparmio gestito, a basare tutte le strategie di investimento solo sui rating? Anzi: solo sui giudizi di tre (Moody's, S&P e Fitch) delle innumerevoli agenzie?
m.longo@ilsole24ore.com
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19/01/2012