Pechino, 15 lug.- Il bollettino di guerra della censura web cinese sale di 1,9 milioni: questo il numero dei siti internet che hanno chiuso i battenti nel 2010. Lo riferisce l'Accademia cinese di scienze sociali (CASS), secondo cui un crollo simile (le cifre si aggirano attorno al 41%) non era mai stato registrato nel Paese dei 450 milioni di cibernauti. Il motivo, sostengono gli esperti, è da ricercare nel controllo serrato messo in atto dal governo centrale che mette il bavaglio al popolo del web. "I più colpiti sono stati soprattutto i forum online, meno attivi rispetto al passato. E' evidente che si tratta di una conseguenza della limitazione della libertà di espressione".
Che il Dragone ostacoli la navigazione sul web ai suoi internauti non è certo una novità. Da tempo la Cina si protegge dai nemici cibernetici e dai temi sensibili tramite la "Grande Muraglia di Fuoco", il filtro lanciato nel 1998 che il governo chiama "Scudo Dorato" e il cui progetto, secondo la tv di Stato CCTV, è costato - solo all'avvio - 6,4 miliardi di yuan (più di 650 milioni di euro). La Grande Muraglia di Fuoco si avvale sia di sofisticati software che bloccano automaticamente parole chiave, sia di una sezione della polizia che controlla continuamente la rete, composta, si dice, da almeno 40 mila poliziotti. Il controllo è particolarmente penetrante su tutti i siti che agevolano scambi di opinioni e informazioni: social network come YouTube, Facebook, Flickr, Twitter risultano completamente bloccati dopo i sanguinosi scontri etnici del luglio del 2009 nello Xinjiang.
Se fino a poco tempo fa agli utenti bastava dotarsi di proxy o di VPN per 'scalare' la Muraglia di Fuoco, negli ultimi mesi la navigazione in rete sembra essere diventata più difficile e rischiosa. Dopo il tam tam diffuso a febbraio sul web che invitava a scendere in piazza sulla scia delle Rivolte dei Gelsomini magrebine, il web è diventato per Pechino il pericoloso nemico da tenere sotto controllo al fine di impedire sommosse e disordini (questo dossier). La macchina della censura – già attiva – è diventata ancora più 'efficiente' e con essa anche la repressione del dissenso.
Ma se per gli esperti la chiusura dei siti web è dovuta al bavaglio della rete, per il CASS a incidere sul crollo è stata la lotta ai siti porno e al gioco d'azzardo. "In Cina la libertà di parola sul web è a un livello molto alto. Sono pochi i casi in cui negli ultimi anni il controllo della rete ha portato alla chiusura di siti internet" ha dichiarato uno degli autori del rapporto del CASS che 'scagiona' il governo di Pechino.
Non la pensano allo stesso modo alcuni dissidenti cinesi residenti a New York che lo scorso maggio hanno accusato Baidu – il principale motore di ricerca del Dragone – di aiutare il governo nella repressione della libertà d'espressione sulla rete.di Sonia Montrella
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