La crisi globale non ha colpito i fondi di private equity che operano in Asia così duramente come avvenuto in altre aree: il valore degli affari siglati nel 2008 è sceso solo di un terzo rispetto all'anno precedente - meno della metà dell'abbassamento subìto sui mercati più sviluppati - e la situazione mostra già qualche margine di miglioramento. In Cina, poi, nell'ultimo anno sono entrati in gioco numerosissimi fondi locali (si calcola siano 189) con 40 miliardi di capitali da investire. Come si presenta allora la situazione dei fondi di private equity nell'Impero Celeste alla luce delle nuove dinamiche emerse durante la crisi? Su quali settori ci si focalizzerà maggiormente? Si assisterà a una maggiore specializzazione nella scelta delle società target? "In effetti, se finora abbiamo assistito ad un atteggiamento molto prudente da parte degli investitori, la fiducia sta crescendo" dice Jenny Gao, Investment Director di Mandarin Capital Partners a Shanghai, il più importante private equity fund sull'asse Italia-Cina. "Al momento ci sono molte trattative in corso e, anche se pare ancora presto per mettere del denaro sul piatto, alcuni settori mandano già dei buoni segnali di ripresa, penso ad esempio a quello farmaceutico, oppure alla protezione ambientale e alle energie sostenibili. Ritengo che, con queste premesse, gli sviluppi si vedranno già nel quarto trimestre del 2009". Gao sottolinea come i fondi statunitensi stiano mantenendo un atteggiamento più fiducioso rispetto a quelli europei, anche se tutti hanno un comportamento più razionale rispetto a due anni fa, quando i mercati erano molto più caldi: "Eppure le prospettive in Cina sono buone, basti tenere conto di due fattori: le opportunità di crescita delle imprese e la maggiore apertura del mercato. Sul primo fronte, ad esempio, ci sono moltissime società con prospettive di crescita nel breve termine che possono suscitare l'interesse dei fondi di private equity; basti pensare che, delle nuove compagnie che si stanno quotando presso il GEM (nuovo listino presso la borsa di Shenzhen specializzato sulle nuove tecnologie, una sorta di NASDAQ cinese) l'80% hanno un background di private equity o venture capital. E in effetti, finora, gli americani sono stati più veloci ad intuirlo degli europei". Ma la specializzazione non è l'unica chiave in questo momento: "Se si sta operando, non è possibile limitare le proprie attività ad un unico settore. Ad esempio, noi siamo focalizzati sulla Cina e sull'Europa e trattiamo in particolare l'acquisizione di compagnie target con revenues tra i 40-50 milioni di euro e i 300, con qualche eccezione per progetti particolarmente interessanti, e i nostri investimenti comprendono sia quote di maggioranza che di minoranza con una media tra i 10 e i 30 milioni di euro". Quali prospettive, allora, per il futuro? "C'è sempre più competizione, soprattutto con competitor interni, che conoscono il territorio e il contesto. Per questo sarà fondamentale differenziarsi, intercettare settori che si stanno riprendendo o che sono alla fine della curva (macchinari pesanti, beni di consumo, energia) e contemporaneamente localizzarsi sempre più, adoperando management, team e investitori locali".
Antonio Talia