Pechino, 16 mar. - Un make-up leggero per i conti pubblici: è quello che, secondo tre economisti interpellati dal Wall Street Journal, il ministero delle Finanze di Pechino avrebbe applicato al budget per il 2010. Nel rapporto presentato questo mese all'Assemblea Popolare Nazionale l'esecutivo mostrava un deficit di bilancio al 2.8% del PIL per l'anno in corso, definendolo "sostanzialmente allo stesso livello del 2009", ma secondo i calcoli del quotidiano statunitense la realtà sarebbe leggermente diversa: 260.82 miliardi di yuan (più di 27 miliardi di euro) di spese delle amministrazioni locali, inizialmente allocate per progetti del 2009, verranno in realtà spesi nel 2010, pur rimanendo contabilizzati nei bilanci dell'anno precedente. Per le compagnie private non è raro contabilizzare determinate spese nel bilancio dell'anno in cui si firmano gli accordi, ma molti governi - inclusa la Cina - adoperano un criterio differente, secondo il quale entrate ed uscite si calcolano esclusivamente nell'anno in cui il denaro passa effettivamente di mano. Con questa manovra, che il ministero delle Finanze ha confermato con una lettera al WSJ, la Cina riesce così a prevedere per l'anno in corso un deficit di bilancio inferiore dello 0.7% rispetto al 3.5% del PIL che avrebbe dichiarato adoperando il metodo abituale, e a mantenersi al di sotto di quella soglia del 3% che - si pensi ai parametri Ue - viene generalmente percepita come ottimale. L'operazione ripropone qualche interrogativo sull'affidabilità dei dati ufficiali: in un report del 2008 della International Budget Partnership sulla trasparenza dei conti dei governi, la Cina otteneva il punteggio di 14 su 100 contro, ad esempio, il 60 su 100 registrato dall'India. La contabilità creativa di Pechino, però, appare come un peccato assolutamente venale: da un lato, infatti, non si comprende l'attaccamento del ministero delle Finanze al target del 3%, visto che la Cina non ha alcun obbligo di mantenersi al di sotto di tale livello e, anzi, numerosi economisti stranieri consigliano al Dragone di aumentare il deficit; dall'altro, si tratta di proiezioni calcolate sull'assunto che la crescita delle entrate del 2010 sarà dell'8%, una previsione che in molti ritengono quantomeno cauta. L'attenzione, allora, va forse spostata verso i conti delle amministrazioni locali, che oltre ad essere al centro di questa vicenda sono anche fonte di crescenti preoccupazioni per il governo centrale di Pechino: una buona parte del pacchetto di stimoli all'economia da 4mila miliardi di yuan varato nel novembre 2008 per fronteggiare la crisi, infatti, deve essere fornita dai governi di province, contee e municipalità. Ma in Cina le amministrazioni locali non possono ottenere i finanziamenti direttamente; per aggirare la legge, allora, sono state create innumerevoli agenzie semipubbliche dette "UDIVs" (Urban Development Investment Vehicles) che ottengono fondi dalle banche, o dai privati tramite l'emissione di bond, fornendo come garanzia gli asset delle amministrazioni, e quindi soprattutto la terra che, com'è noto, in Cina rimane di proprietà dello stato. I timori dello scoppio di una bolla immobiliare e del deprezzamento degli asset utilizzati come garanzia hanno spinto la Banca centrale a correre ai ripari, intimando agli istituti di credito di non accettare più la terra delle amministrazioni locali come garanzia dei prestiti. Secondo le stime ufficiali le finanze cinesi sono molto più in salute di quelle americane o di quelle di qualche nazione europea; l'operazione di "make up contabile" scoperta dal Wall Street Journal,insomma, che sposta semplicemente una somma da un bilancio annuale ad un altro, sembra simile al trucco leggero che una donna già piacevole adopera per risultare più affascinante. In futuro, però, i conti di alcune amministrazioni locali potrebbero non risultare così piacenti come appare sulla carta.