Maschio Group coltiva la ripresa
Nasce nel 1964 come azienda familiare e progressivamente si allarga per incorporazione di altre aziende (nel 1983 la Gaspardo Seminatrici) risalendo la filiera meccanica. Oggi nel suo campo è tra i primi dieci produttori mondiali. Nel 2009 accusa il colpo del blocco delle commesse sui mercati internazionali, ma dal 2010 risale la china incrementando fatturati e mercato e tenendo salda la barra sull'occupazione. Nel 2012 la previsione è di salire ulteriormente, a oltre 210 milioni, dai 180 del consolidato 2011 (+30% sul 2010). Un risultato di tenuta e rilancio dentro la crisi fondato su due pilastri. Il primo, decisivo, l'internazionalizzazione di reti commerciali e filiera produttiva con la costituzione di dieci aziende di trading, dagli Usa all'Europa fino al Far East. Un'esplorazione dei mercati emergenti avvenuta per gradi, a medio raggio, con le filiali dell'area Est europea e Mediterranea dalla Polonia all'Ucraina fino alla Turchia e oggi allungatasi a presidiare il boom demografico oltre che economico delle economie ex emergenti. Concentrandosi sulle economie a forte espansione agricola, dal Brasile dove è in previsione l'apertura di una filiale produttiva, fino ai Paesi dell'Africa Sub-Sahariana e dell'Asia Centrale. Con una logica non di delocalizzazione ma appunto di presidio dei mercati locali.
Un'impresa "molla" Maschio Group, capace di rimbalzare tra locale e globale e costruire filiere produttive transnazionali, con la spola dei macchinari prodotti e assemblati tra lo stabilimento di Campodarsego e la Cina.
Nel modello di business del gruppo non c'è, però, la sola pratica delle reti lunghe del globale, quanto l'avvio di un progetto di innovazione (il gruppo investe il 3% del fatturato in R&S con 50 addetti nella sede centrale) legato ai temi dell'ecosostenibilità e della green economy per la produzione di una nuova generazione di macchine a energia pulita. Ma accanto all'innovazione tiene l'elemento delle radici territoriali. All'internazionalizzazione per gradi praticata dal gruppo si è accompagnata la volontà di tenuta sul fronte occupazionale. In un periodo in cui a volte sembra che internazionalizzazione equivalga a de-industrializzazione non è poco. Logica sfociata in un accordo sindacale per il quale negli stabilimenti produttivi del Padovano e del Friulano per almeno tre anni i posti di lavoro sono assicurati in cambio di moderazione salariale e di reinvestimento delle risorse risparmiate nella tenuta e crescita del gruppo. A dimostrazione che nel capitalismo di territorio la logica della comunità di fabbrica rappresenta un mastice che tiene ancora.
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07/03/2012