Roma, 24 giu. – Se lo stereotipo più comune dell'Italia è la pasta, non c'è piatto che nell'immaginario collettivo non sia decorato con sugo tutto italiano. Un cliché che però rischia di dover essere rivisto in quanto uno degli ingredienti fondamentali – il pomodoro – prima di arrivare sugli scaffali dei supermercati compie un viaggio molto più lungo del solito e parte dalla Cina.
Se a impressionare l'Italia erano 'bastati' gli 82 milioni di chili di concentrato di pomodoro importato dalla Cina nel 2009 - pari al 10% della produzione nazionale - le cifre relative al primo trimestre del 2010 (+174 rispetto al periodo precedente) evidenziate dal rapporto di Coldiretti, cooperative agricole dell'Unci e industrie conserviere dell'Aiipa, mettono in allarme produttori e consumatori che, secondo le stime, ogni anno acquistano 550 milioni di chili di pomodori in scatola o in bottiglia.
"Ogni giorno nei porti italiani vengono scaricati oltre mille fusti (da
Quale sarà il danno per il nostro Paese? Agichina24 lo ha chiesto al presidente di Federconsumatori, Rosario Trefiletti; al vicepresidente del Codacons, Gianluca Di Ascenzo; al responsabile marketing di Mutti, Guerrino Beccacece e a Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti. "L'allarme lanciato da Coldiretti" spiega Trefiletti "non è da sottovalutare per due motivi fondamentali: innanzi tutto il pomodoro è un ingrediente base della cucina italiana e, in secondo luogo, stiamo parlando di un prodotto consumato sia dalle classi più ricche che da quelle più povere. La grande diffusione e la frequenza con la quale il pomodoro viene consumato dagli italiani rende il settore estremamente delicato". Nel settore del pomodoro da industria sono impegnati oltre 8mila imprenditori agricoli che coltivano su circa 85mila ettari, e 178 industrie di trasformazione in cui trovano lavoro oltre 20mila persone. Il comparto garantisce una produzione dal valore nettamente superiore ai 2 miliardi di euro, va da sé che un'importazione dalle cifre così elevate non può che minare il mercato italiano. "Il danno è enorme sia per i coltivatori, che devono tenere il passo e fare i conti con la concorrenza di un Paese come
Se ipotizzare una complicità dei produttori italiani appare azzardato, è possibile invece affermare con certezza che l'Italia è colpevole di scarso impegno nella tutela dei diritti dei consumatori e del marchio italiano che dell'agroalimentare ha fatto il suo punto di forza. "La responsabilità del nostro Paese risiede nella scarsa tutela del made in Italy come valore aggiunto alla nostra economia e alla nostra immagine nel mondo" afferma Gianluca Di Ascenzo. "O, per meglio dire" continua "in una tutela fatta solo a parole, ma che nella realtà non trova provvedimenti normativi in grado di proteggere quello che è un vero e proprio marchio di qualità riconosciuto in tutto il pianeta" Una protezione giocata non sull'embargo dei prodotti esteri ma attraverso la valorizzazione del made in Italy."Io sono contrario a una guerra contro i prodotti cinesi, ma bisognerebbe offrire al consumatore maggiore informazione e trasparenza" spiega Beccacece. "Qualsiasi azienda può usare materie prime provenienti dalla Cina o da altri Paesi esteri, così come il consumatore è libero di fare l'acquisto che preferisce, ma l'importante è che sia chiara la provenienza e il processo di lavorazione, in modo che la scelta sia fatta in maniera consapevole". E il luogo d'origine è quasi sempre quello delle regioni del Junggar, Tarim e dello Xinjiang dove operano le aziende Tunhe e Chalkis Tomato, protagoniste indiscusse della produzione di questo ortaggio. Contraria alla guerra al made in China è anche Federconsumatori: "Non c'è bisogno di ricorrere al boicottaggio in quanto non siamo in presenza di sfruttamento di manodopera o, peggio, di lavoro minorile. La cosa importante è che si conosca l'origine del contenuto". Invece, in base alle normative europee, sulle etichette di pomodoro lavorato è obbligatorio indicare solo il luogo del confezionamento e non di origine, norma da cui è esclusa la passata di pomodoro per la quale è prevista un'etichettatura più dettagliata che deve necessariamente riportare entrambi i luoghi di lavorazione. "Chiediamo alla Comunità europea una normativa che imponga ai produttori di indicare non solo il luogo di confezionamento ma anche quello di origine" spiega Bazzana, che aggiunge: "Per ora, essendo l'indicazione obbligatoria solo per le passate di pomodoro, non si può parlare di truffa. Si tratta di semplice omissione" spiega Bazzana.
Se una maggior trasparenza 'anagrafica' è la chiave di lettura per un acquisto consapevole e informato, questa non può però rappresentare una soluzione al fenomeno. Le 'armi di difesa' suggerite dagli intervistati sono molte, a iniziare ad esempio dalla "tracciabilità" proposta da Trefiletti: "E' un diritto fondamentale del consumatore conoscere esattamente tutte le tappe di lavorazione cui è stato sottoposto il prodotto che si ha intenzione di acquistare".
Quando il prodotto arriva sugli scaffali dei supermercati o sulle nostre tavole, l'infiltrazione è già avvenuta e per bloccarla, secondo Beccacece, è necessario agire in modo preventivo: "Il primo deterrente da adottare è il presidio delle vie di accesso. Riducendo notevolmente i luoghi d'entrata, siano essi porti o frontiere, è possibile effettuare controlli più numerosi e mirati che potranno essere svolti da personale qualificato. Non stiamo parlando di 'corpi speciali', ma di semplici doganieri sui quali bisognerebbe investire di più offrendo loro una maggiore preparazione che li renda più professionali. Si tratta di un espediente che permetterebbe di evitare moltissime truffe" afferma.A infangare ulteriormente l'immagine del celebre prodotto italiano, ecco un notizia che preoccupa ma non sorprende: spesso, nel peggiore dei casi, il prodotto tipico italiano viene letteralmente clonato. Sono molte le confezioni di concentrato di pomodoro che riportano marchi identici a quelli nostrani, bandiera tricolore, scritte in italiano, codice a barre, marchio commerciale. E ancora: l'immancabile scritta "100% prodotto italiano" e la garanzia che le confezioni contengano il pomodoro come unico ingrediente, salvo poi scoprire attraverso le analisi che in realtà, fa sapere Coldiretti, il barattolo contiene tracce di pomodoro, mentre il resto del contenuto deriva da "scarti vegetali diversa natura, quali bucce e semi di ortaggi, e frutta". A 'esaltare' questi ingredienti si aggiunge poi una quantità di muffe che eccede i limiti previsti dalla legislazione italiana.
La soluzione per Coldiretti risiede in un aumento dei controlli da parte della Comunità europea: "attualmente le verifiche vengono fatte a campione, ma non è sufficiente, specialmente se si tratta di prodotti provenienti dalla Cina dove i controlli sono scarsi". "Per ora sono state trovate delle tracce vegetali in alcuni campioni di concentrato venduto sul mercato inglese e africano. La soia e gli scarti vegetali non comportano gravi problemi di salute, ma l'aumento dei controlli aiuta a evitare scandali come quello del latte alla melamina, estremamente dannoso per l'uomo". In quanto alle muffe il discorso è diverso così come gli effetti che potrebbero manifestarsi a lungo termine sul fisico dei consumatori.
Al di là dei problemi fisici, resta viva la questione della truffa: "Il consumatore è comunque vittima di una frode commerciale in quanto si ritrova con un prodotto completamente diverso da quello dichiarato nell'etichetta" sostiene Bazzana. Ma se a questo punto l'etichetta appare così indispensabile, in mancanza di tale normativa, quale misura dovrebbero adottare i produttori italiani per tutelarsi? E' Gradini a offrire una risposta: "Quanto a Conserveitalia ci siamo in qualche modo auto-tutelati con una sorta di certificazione volontaria: poiché avevamo da tempo messo in conto del rischio di essere danneggiati dalle importazioni di prodotti non autentici, ci siamo creati l'etichetta da soli scrivendo sui nostri pelati e sulle nostre conserve "solo pomodoro italiano" continua Gardini. "In generale i produttori devono seguire l'esempio delle cooperative, ossia riuscire a garantire la provenienza e la qualità del pomodoro, in quanto prodotto conferito dai propri soci e quindi non importato: sono i soci agricoli delle cooperative che portano il prodotto e questo è il nostro valore aggiunto e prima garanzia che offriamo ai consumatori".
di Sonia Montrella
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