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Quest'anno la Cina crescerà almeno del 9,5 per cento. Ma non sono poche le voci fuori dal coro che mettono in guardia dal pericolo che, come i palazzi di ghiaccio di Harbin, l'economia cinese sia destinata a liquefarsi. Hanno ragione?
Nicholas Smith, stratega per la MF Global FXA Securities, esprime in modo efficace la posizione degli scettici. Citando «la crescita incendiaria della massa monetaria» e la comparsa di bolle nel mercato immobiliare e nella capacità produttiva, scrive: «Gli investimenti, arrivati alla metà del Pil, sono a livelli mai raggiunti da una grande economia nella storia moderna, e devono rallentare. I consumi sono ai livelli più bassi mai raggiunti da una grande nazione nella storia moderna. Le tensioni commerciali covano sotto la cenere e la Cina non potrà esportare le sue eccedenze. Un rallentamento dell'economia appare inevitabile».
La testa ci dice che Smith ha ragione. Ci sono moltissimi elementi che non lasciano tranquilli. I consumi, anche se stanno crescendo a doppia cifra secondo i dati (inaffidabili) delle vendite al dettaglio, rimangono inchiodati a un misero 37 per cento del Pil. Con il ritiro degli incentivi, le vendite di automobili e prodotti di elettronica, salite alle stelle lo scorso anno, potrebbero rimanere al palo.
In assenza di un incremento dell'export (che potrebbe essere rallentato da un apprezzamento del renmimbi o da misure protezionistiche da parte di altri Paesi), rimarrebbero gli investimenti il motore principale dell'economia. Il timore è che questo possa tradursi in una pericolosa sovracapacità. All'estero, questo potrebbe innescare conflitti commerciali, perché la Cina cercherà di scaricare una massa sempre più grande di prodotti a buon mercato su un mondo che solo adesso comincia a riprendersi da una catastrofica indigestione di credito. In patria, l'incessante aggiunta di ponti, porti, aeroporti e acciaierie graverà le banche di prestiti in sofferenza.
La ragione dice che l'economia cinese non può andare avanti così. Ma l'istinto ribatte che invece può, perché per il partito comunista è una necessità. Secondo Wensheng Peng, direttore della ricerca per la Cina di Barclays Capital, i timori sull'eccesso di investimenti e la scarsità dei consumi sono esagerati. Con un'urbanizzazione di appena il 47%, la Cina è più o meno allo stadio di sviluppo che il Giappone raggiunse negli anni 50. Molti riscaldano le case con le bombole a gas, perché non ci sono gasdotti. Una parte della popolazione non ha l'allaccio alla rete fognaria o all'acqua corrente. Tra pochi anni i treni ad alta velocità collegheranno il 70-80% delle grandi città. I guadagni di produttività saranno enormi.
Peng dice che la Cina farebbe bene a costruire finché può. A causa della politica del figlio unico, dal 2015 in poi la popolazione comincerà a invecchiare. I risparmi inizieranno ad assottigliarsi, perché i pensionati li esauriranno. Questo darà una spinta ai consumi. In altre parole, gli squilibri interni dovrebbero cominciare a correggersi da soli. Questa è una storia a medio termine. Ma anche sul breve periodo, l'evidenza di un incremento dei prezzi dovrebbe contribuire a placare i timori di una sovracapacità. È difficile conciliare le paure sulla Scilla dell'eccesso di capacità produttiva con quelle sulla Cariddi dell'inflazione. Deve esistere la possibilità che la Cina passi (magari non agevolmente, ma sana e salva) attraverso questi due mostri.
(Traduzione di Gaia Seller)
22/01/2010
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