Roma, 24 set.- E' tornato in libertà il capitano del peschereccio cinese la cui vicenda ha compromesso i rapporti tra Pechino e Tokyo. Zhan Qixiong si trovava in carcere dall'8 settembre, giorno in cui la sua imbarcazione ha urtato due motovedette giapponesi nelle acque contese delle isole di Diaoyu. Accusato di aver intenzionalmente provocato l'urto, di tentata evasione dal carcere e di resistenza alle leggi giapponesi, l'uomo è stato ora dichiarato non colpevole: a dare la notizia è stato il pubblico ministero dell'isola di Ishigaki, dove Zhan era detenuto, che ha ammesso come le "questioni diplomatiche" abbiano influito sulla decisione finale. "Considerando gli effetti che la vicenda ha avuto sulle persone e sulle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, abbiamo ritenuto appropriato interrompere le indagini" ha dichiarato il magistrato, senza chiarire quale tra le varie reazioni di Pechino abbia avuto un peso determinante.
Negli ultimi 15 giorni i rapporti tra le potenze asiatiche sono precipitati in un susseguirsi di botta e risposta. Il Dragone ha annullato un summit sullo sfruttamento del carbone, ha bloccato gli scambi bilaterali a livello ministeriale, ha fatto saltare i colloqui sull'incremento dei voli da e per il Giappone, ha sospeso i visti d'entrata a 1000 ragazzi giapponesi in procinto di visitare l'Expo di Shanghai, ha rifiutato qualsiasi incontro con il primo ministro giapponese Naoto Kan nel corso del vertice delle Nazioni Unite e ha opposto un no secco alla proposta di dialogo avanzata dal Giappone, almeno fin a quando il capitano non sarebbe stato rilasciato. Secondo la legge giapponese, la polizia avrebbe potuto trattenere l'uomo per accertamenti fino a un massimo di 20 giorni, un'eventualità che aveva fatto scendere in campo direttamente il primo ministro Wen Jiabao: "Se il Giappone persevererà nel suo errore -aveva dichiarato il premier- la Cina prenderà ulteriori provvedimenti e il Giappone si troverà ad affrontare tutte le conseguenze che ne deriveranno".
Anche le ultime mosse del Dragone appaiono collegate in qualche modo alla vicenda del peschereccio: giovedì quattro civili giapponesi sono stati arrestati nei pressi di una base militare a circa 350 chilometri da Pechino con l'accusa di aver filmato alcune installazioni dell'esercito. A ciò si aggiungono inoltre le voci di un embargo sulla vendita delle "terre rare" al Giappone: si tratta di quei minerali (di cui la Cina detiene circa il 95% della produzione mondiale) indispensabili nella fabbricazione di merci come computer, iPhone, lampadine a basso consumo e componenti per le pale eoliche, il cui blocco causerebbe danni enormi all'economia nipponica. E se l'embargo è stato smentito da Pechino e mai confermato da Tokyo, forse una chiave di lettura legata allo sfruttamento delle risorse può comunque servire a ricostruire l'intera vicenda dall'inizio: le isole Daoyu dove il peschereccio è stato fermato, sono infatti oggetto di un'aspra contesa tra Cina e Giappone soprattutto a causa delle ingenti riserve di petrolio e gas che potrebbero nascondere.
di Sonia Montrella
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