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In effetti, Uniqlo in Cina conta su un ottimo successo di pubblico, per il quale deve ringraziare anche la sua strategia di vendere i vestiti online. Come ha fatto? È semplice: nel 2009 Uniqlo firma un accordo con Taobao, l'eBay cinese, un colosso del web, e solo nei primi dieci giorni, attira qualcosa come 400mila visitatori.
Benvenuti nella Cina dell'e-commerce. Un mondo da 39 miliardi di dollari l'anno, la seconda piazza digitale al mondo, dopo quella statunitense (156 miliardi). Sorpresa: la censura di Pechino qui non mette il becco, chi va sul web per comprare è libero di dire qualsiasi cosa, comprese le critiche feroci ai brand stranieri, persino qualche brutto giudizio sulla scarsa qualità dei marchi made in China. E i cinesi, su internet, si sono buttati in massa. A giugno, nel paese si contavano 420 milioni di internauti: il doppio di quelli americani, cinque volte tanto quelli indiani, «e undici volte di più che in Italia», ricorda Max Magni, partner McKinsey e leader della practice Consumer goods in Cina, che ha appena dedicato alla rivoluzione e-commerce lo studio annuale sui consumatori cinesi.
La chiave migliore per aprire le porte di questo Eldorado? L'alleanza con le piattaforme locali, esattamente sul modello di Uniqlo. «Anche Procter & Gamble ha adottato una strategia di questo genere – spiega Magni – ha cominciato da un accordo con Taobao, che gli è costato un budget davvero limitato, e una volta che ha avuto successo lì ha pensato al sito corporate vero e proprio». Ad oggi, il gigante Taobao ha in mano l'87% delle vendite online di tutta la Cina, poi c'è Paipai con il 10% e Ebay's Eachnet con l'8 per cento.
Le potenzialità di business sono enormi. I brand italiani? In deciso ritardo, se non addirittura assenti. «Questa volta però, sono in buona compagnia – spezza una lancia Max Magni – nessuna impresa europea è attiva, tutti hanno sottovalutato la portata del fenomeno. Pensano che internet sia poco popolare in Cina, o che le carte di credito non siano accettate per i pagamenti. Ma sbagliano: gli utenti del web crescono a un ritmo elevato e i pagamenti con carta sono diffusi come nel resto del mondo, e sono parimenti sicuri». China Mobile ha anche reso popolari i pagamenti via telefonino, e per le spedizioni della merce c'è sempre il classico contrassegno. A onor del vero, nel web made in China si trovano prodotti a marchio Ferrero o Benetton, ma non sono le rispettive case madri a metterceli, bensì dei rivenditori cinesi che utilizzano il canale Taobao.
Eppure, questo business si addice alle piccole e medie imprese, per via dei costi bassi di ingresso: «Per i cinesi – spiega Magni – il made in Italy è sinonimo di qualità e viene tenuto in maggiore considerazione rispetto ai prodotti locali, per questo le nostre aziende partirebbero avvantaggiate. I produttori di beni di consumo più piccoli, che non hanno un marchio conosciuto, potrebbero mettersi insieme e acquistare una pagina su Taobao, magari attraverso le associazioni di categoria». Non la singola scarpa, dunque, ma la scarpa made in Italy come concetto da promuovere e vendere.
L'identikit del cinese che spende online, tra l'altro, coincide con l'acquirente tipo del prodotto made in Italy: colto, giovane, classe media. Il 75% di loro ha meno 34 anni e il 53% è laureato. Su internet trascorrono 19 ore alla settimana, quattro delle quali sono espressamente dedicate allo shopping; solo 30 i minuti riservati alle e-mail, un'inezia contro le cinque ore dei navigatori a stelle e strisce. Quando acquistano, per il 36% si tratta di prodotti per la casa, per il 29% di apparecchi digitali, per l'8% di cibo e bevande. Secondo l'indagine fatta da McKinsey, di internet i cinesi si fidano molto: il 56% crede ai messaggi pubblicitari online, contro il 46% che ha fiducia in quelli trasmessi dalla televisione.
Certo, i navigatori cinesi mostrano anche qualche ingenuità, se per avere un giudizio sui prodotti che intendono acquistare vanno sui siti delle aziende che li producono, o delle catene che li distribuiscono, piuttosto che sulle pagine web delle riviste di settore o sui blog. Un'imprudenza, questa, che diventa una manna per quelle imprese che si possono permettere animatori professionali, pagati per tessere le lodi di questo vestito o quella macchina fotografica sui social forum.
Proprio l'aspetto del passaparola online non deve essere preso sottogamba da chi punta sul mercato cinese: «È un'abitudine culturale – spiega Magni – assente in altri paesi. In Cina ci si fida molto del giudizio della comunità dei familiari e degli amici. Per questo, anche online, si tende replicare questo comportamento». E infatti i cinesi, su internet, ci vanno soprattutto per prendere decisioni sugli acquisti, prima ancora che per acquistare.
Per un'azienda che vuole buttarsi sul business, tutto questo assume un significato ben preciso: «Per chi apre uno spazio di vendita online – sostiene Max Magni – aprire un blog sui prodotti che si vuole vendere, consentire i post degli utenti, anche quelli negativi, e animare un social forum sono attività fondamentali, nelle quali occorre investire in senso continuativo. Gli spazi per il dialogo non vanno mai abbandonati a se stessi ma monitorati con costanza. Mentre le critiche non vanno ignorate, ma indirizzate in modo da disinnescarne il potere deterrente e renderle innocue».
micaela.cappellini@ilsole24ore.com
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Miliardi di dollari
E' quanto hanno speso online i consumatori cinesi nel 2009TRE MOSSE PER CONQUISTARE IL TARGET
1
L'accordo con un sito localeNon è necessario sbarcare in Cina con un sito corporate per vendere online. Come primo approccio, è più facile, e soprattutto è meno costoso, acquistare una pagina su una piattaforma cinese di retail online. La più famosa si chiama Taobao, e svolge una funzione simile a quella di eBay
2
L'alleanza fra i piccoliIn Cina il made in Italy è sinonimo di qualità e piace al pubblico di internet, più colto e più ricco della media. Per una Pmi che però in Cina non ha un marchio conosciuto, potrebbe essere utile mettersi insieme ad altri produttori dello stesso bene e dare vita sul web a una pagina di settore
3
L'attenzione ai forumSul web i cinesi vanno soprattutto per scambiarsi opinioni sugli acquisti. I venditori devono farsi carico di questa abitudine: animando forum e blog e consentendo i post degli utenti, anche quelli negativi. Le critiche non vanno ignorate, ma indirizzate in modo da renderle inoffensive per il marchio
18/10/2010
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