Le ragioni dei cinesi sullo yuan
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Le ragioni dei cinesi sullo yuan

Le ragioni dei cinesi sullo yuan

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La rivalutazione dello yuan cinese è chiesta a gran voce dalle cancellerie di mezzo mondo. Su altri punti dello scibile - dalle riforme della regolazione bancaria alle exit strategy da deficit, debiti e creazione di moneta - i punti di vista sono diversi, dentro e fuori dei paesi atlantici. Ma sulla questione dello yuan tutti sono d'accordo. Sarebbe cosa buona e giusta, equa e salutare, se le autorità cinesi lasciassero apprezzare la loro moneta. Tutti sono d'accordo: eccetto i cinesi. E le ragioni dell'accordo e del disaccordo sono ben note. I paesi di antica industrializzazione vedono la Cina - fabbrica del mondo - che continua ad accumulare surplus commerciali e riserve valutarie; in molti settori la concorrenza con i produttori europei e americani è spietata e il Celeste impero continua a muoversi verso segmenti più elevati di valore aggiunto. Il meno che possano fare i cinesi - pensano gli occidentali - è lasciar apprezzare la loro moneta, così da peggiorare la loro competitività-prezzo e dare un po' di respiro ai concorrenti; un respiro a due punte: da un lato i prodotti cinesi esportati diventano più cari, dall'altro le importazioni diventano meno care e quindi si facilita l'assorbimento dei prodotti occidentali. La Cina ribatte: abbiamo continuato a crescere durante la grande recessione e abbiamo sostenuto la domanda mondiale con un fortissimo aumento delle importazioni, tanto è vero che il nostro surplus si sta riducendo rapidamente. E lo yuan allora sta bene dov'è, perché lo scopo di uno yuan forte - ridurre il nostro surplus - lo stiamo già raggiungendo attraverso la nostra più che vivace domanda interna.
I cinesi non hanno torto. E in ogni caso, come si vede dalla tabella, una volta che si guardi a quella misura principe della competitività-prezzo che è il cambio effettivo reale si vede come dalla metà del 2005 (fu allora che la Cina abbandonò il cambio fisso col dollaro) la tendenza è all'apprezzamento. Speriamo che continui.
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20/02/2010
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