Dall'inizio dell'anno, venti milioni di persone sono rimaste senza occupazione destando la preoccupazione del governo cinese che teme la ribellione dei giovani, disoccupati e per questo insoddisfatti. La crisi finanziaria globale ha frenato bruscamente la crescita economica cinese, scesa sotto l'8%, e ha messo in difficoltà il governo di fronte alla richiesta di lavoro da parte di milioni di contadini che ogni anno si riversano in gran numero nelle città. Nella provincia dello Henan, luogo d'origine di milioni di migranti cinesi, le autorità locali hanno stimato che più dell'80% degli operai, appena rientrati nei loro villaggi dopo aver perso il lavoro nelle città, si è già messo alla ricerca di un nuovo impiego. Se si omettono i rari casi di manifestazioni di scontento, la maggior parte dei lavoratori delle zone rurali sembra essersi ormai rassegnata al fato e aver accettato la riduzione delle ore lavorative e, di conseguenza, della retribuzione. Nella cittadina di Zhengzhou, nello Henan, ogni giorno folle di giovani si aggirano per le strade adiacenti al municipio dove industriali, imprenditori, direttori di agenzie immobiliari e imprese edili espongono opuscoli o semplici cartelloni scritti a mano e offrono lavori non qualificanti ma le cui condizioni sono migliori rispetto a quelle del lavoro in campagna. Il governo cinese, la cui prima reazione al crollo economico è stata quella di rimandare i disoccupati nei villaggi di origine per evitare il crearsi di tensioni sociali, ha ora lanciato una nuova iniziativa che mira a incoraggiare il business nelle aree rurali. I fondi stanziati confermano l'impegno del governo in questa direzione: circa 3 milioni e mezzo di euro per la formazione professionale di aspiranti imprenditori e altri 3 milioni e mezzo destinati a prestiti a basso tasso di interesse per l'avviamento di attività commerciali. Simili politiche sono state promosse anche in altre province come il Sichuan e lo Anhui che, come lo Henan, ogni anno devono affrontare le richieste di milioni di persone in età da lavoro. Tuttavia i limiti del provvedimento si mostrano con tutta evidenza non appena si guarda alle aree verso cui è diretto. Una delle zone interessate è proprio il villaggio di Zhengzhou. Qui piccole abitazioni in mattoni affiancano fazzoletti di terra coltivati e pochi ristoranti, insieme a qualche negozio di materiali da costruzione, costeggiano la strada principale impolverata. Nessun potenziale businessman si aggira per le strade della città perché qui - come altrove in Cina - non appena raggiunta la maggiore età, i ragazzi si mettono in viaggio alla ricerca di opportunità lavorative lasciando il villaggio sprovvisto della sua unica speranza: i giovani. Con l'arrivo della crisi economica il governo cinese si preparava ad affrontare un anno di disordini e di instabilità sociale eppure, finora, non ci sono state rivendicazioni e, anzi, una quiete generale avvolge le città. Secondo l'analista Zhuang Jian, economista presso l'Asian Development Banck di Pechino, l'atteggiamento di rassegnazione è insito nella natura del lavoratore delle zone rurali abituato ogni anno, di ritorno dai festeggiamenti del Capodanno cinese, a cercare una nuova occupazione e dunque avvezzo alla mobilità e al precariato. Linda Yueh, economista della Oxford University, ha dichiarato che gli operai cinesi "possono essere spostati senza difficoltà dal reparto produzione alla costruzione di strade". E proprio questa peculiarità del lavoratore cinese rappresenta una certezza per il Paese. Consapevole della loro capacità di adattamento, il governo cinese sta promuovendo i progetti dell'industria nazionale convinto di poter reimpiegare gli operai in tutti i settori, compreso quello delle infrastrutture dove sono stati concentrati gran parte degli investimenti statali per stimolare la ripresa economica del Paese.