Lagarde apre a Pechino sull'Fmi
ADV
ADV
Lagarde apre a Pechino sull'Fmi

Lagarde apre a Pechino sull'Fmi

La successione a Strauss-Kahn. La francese favorita: dopo India e Brasile «incontri molto positivi con le autorità cinesi»
di lettura
SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Christine Lagarde chiude in Cina il suo viaggio di ricognizione nei grandi Paesi emergenti per testare il gradimento dei Bric a una sua candidatura al vertice del Fondo monetario internazionale.
«Sono stati incontri molto positivi», ha detto il ministro delle Finanze francese, ieri a Pechino al termine dei colloqui con il Gotha dell'economia cinese. In sole ventiquattro ore la signora Lagarde ha illustrato il suo piano di riforma del Fmi al vicepremier, Wang Qishan; al Governatore della People's Bank of China, Zhou Xiaochuan; al ministro delle Finanze, Xie Xuren; e anche al ministro degli Esteri, Yang Jiechi.
Seguendo fedelmente il copione già utilizzato nei giorni scorsi in Brasile e in India, Lagarde avrebbe ribadito alla nomenklatura cinese la sua ferma intenzione di aumentare la rappresentatività dei Paesi emergenti all'interno del Fmi. «La riforma del Fondo monetario internazionale deve continuare a essere sviluppata intorno ai principi di inclusione e di diversità», ha detto la determinatissima aspirante alla poltrona lasciata vacante da Dominique Strauss-Kahn.
I cinesi, adottando il contro-copione già utilizzato dai brasiliani e dagli indiani, hanno ascoltato le suadenti parole della signora Lagarde senza battere ciglio. E soprattutto non hanno espresso alcuna dichiarazione di voto a favore della candidata francese. «La scelta dei dirigenti del Fondo monetario internazionale - ha sentenziato ieri un portavoce del Governo cinese al termine della visita della signora Lagarde - dovrà essere fatta con criteri di apertura e trasparenza, dovrà essere basata sul merito, e dovrà prevedere anche una maggiore rappresentanza dei mercati emergenti».
Una rappresentanza che la Cina giudica inadeguata alla luce dei nuovi rapporti di forza determinati dal processo di globalizzazione tra Paesi di vecchia e di nuova industrializzazione. Fino al 2008, il peso del voto di Pechino in seno all'Fmi era di poco superiore al 4 per cento. Per effetto di una recente riforma è stato elevato al 6,4 per cento.
Ma il Dragone vorrebbe contare di più. Anche sul piano politico per puntare a un obiettivo ambizioso: trasformare i Diritti speciali di prelievo (Dsp), l'unità di conto convenzionale del Fmi, in una sorta di valuta globale destinata a sostituire il dollaro. Il Fondo monetario internazionale finora non ha detto di no alla suggestiva proposta di Pechino. E non ha neanche bocciato l'idea di ampliare il paniere di riferimento dei Dsp ad altre valute (al momento è composto da dollaro, euro, sterlina e yen). Compreso lo yuan. «In futuro la moneta cinese è una probabile candidata a entrare nel paniere», ha detto ieri il direttore generale ad interim dell'Fmi, John Lipsky. Prima, però, lo yuan dovrà diventare una valuta pienamente convertibile. Ma per questo servirà ancora tempo. Molto tempo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

10/06/2011
ADV