La vera partita è tra Cina e Usa
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La vera partita è tra Cina e Usa

La vera partita è tra Cina e Usa

EQUILIBRI NEL PACIFICO
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La scomparsa del leader nordcoreano Kim Jong-il crea grandissima incertezza e inquietudine geopolitica in Asia orientale. La sua scomparsa rimuove quello che è stato per 60 anni insieme un tappo e una foglia di fico della politica nei delicatissimi equilibri regionali.
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Non è affatto chiaro se l'erede al trono, il figlio Kim Jong-un, appena 27 anni, il cui unico punto a favore è la somiglianza con il nonno, il dittatore Kim Il-sung, riuscirà ad assumere il ruolo del padre, e in che direzione spingerà il Paese. Non è chiaro neppure quanto potere avrà il giovane Kim, circondato com'è da una composita corte di vecchi generali tutti imparentati tra loro o con la famiglia Kim. Il punto vero, che preoccupa moltissimo la Cina, è che qualunque spostamento della posizione politica della Corea del Nord cambia gli equilibri regionali. Nell'area infatti ci sono quasi 100mila soldati americani ufficialmente schierati contro Pyongyang e di stanza in Giappone e Corea del Sud.
In realtà le truppe servono a contenere la Cina e rassicurare Seul e Giappone che alla loro sicurezza penserà l'America, quindi questi Paesi non devono riarmarsi. La Cina in effetti preferisce una presenza militare americana a un processo di riarmo di Corea del Sud o Giappone direttamente contro la Cina.
Se la Corea del Nord smette di essere una minaccia che senso hanno tutti i soldati Usa nell'area? Se restano, la minaccia diventa diretta dell'America contro la Cina. Se le truppe americane se ne vanno Corea del Sud e Giappone si armano contro la Cina stessa. Entrambe le cose farebbero aumentare la tensione regionale. Se a Pyongyang la situazione precipita, naturalmente, è ancora peggio perché si esasperano le tensioni e aumentano i rischi di una guerra o di un intervento militare americano.
I primissimi segnali non sono pessimi ma restano inquietanti. La settimana scorsa infatti, ufficialmente prima della morte di Kim Jong-il, avvenuta la mattina di sabato 17 dicembre, Pyongyang aveva all'improvviso annunciato di volere fermare il suo programma nucleare all'uranio che per anni ha bloccato la trattativa a sei sulla Corea.
La Corea del Nord ha un programma di armi nucleari al plutonio e uno all'uranio. Pyongyang aveva bloccato quello al plutonio, ma fino a un anno fa negava addirittura di averne uno all'uranio, più pericoloso. La concessione improvvisa aveva spinto i più scettici al Pentagono Usa a pensare a un imbroglio, una delle tante boutade a cui Pyongyang ha abituato il mondo. Oggi invece appare chiaro che la concessione sull'uranio era una manovra complessa, forse anche concordata con la Cina, tesa a cercare di rassicurare Paesi vicini e lontani sulle intenzioni nordcoreane.
È probabile che la decisione di cedere sull'uranio sia stata presa prima della morte di Kim Jong-il e che la morte del dittatore sia stata annunciata in una data tale che la concessione venisse attribuita al vecchio Kim, e quindi messa al riparo da eventuali contestazioni da quadri conservatori. Ma la concessione stessa in concomitanza con la morte, per quanto positiva, rivela una grande debolezza e fragilità del sistema nordcoreano. Perché si è dovuto aspettare il momento vicino alla morte di Kim per cedere sull'uranio? Quanto è forte davvero il partito degli oltranzisti a Pyongyang?
Se Kim Jong-un ha subito mollato su un punto che teneva bloccato il rapporto con gli americani da anni, può cambiare altrettanto rapidamente idea su questa sua concessione? Oppure è talmente debole, e la situazione interna è talmente fragile, che lo Stato si sfascerà in poche settimane o mesi aprendo alla possibilità della riunificazione con il Sud? In questo caso chi pagherà il conto enorme della riunificazione? Le differenze nelle economie tra Corea del Nord e del Sud sono molto maggiori che tra Germania Est e Ovest. L'operazione potrebbe drenare le risorse della Corea del Sud e di altri vicini chiamati ad aiutare Pyongyang per anni. Inoltre, una Corea riunificata molto probabilmente sarebbe nazionalista, aprendo forti attriti con Giappone e Cina.
Insomma con questa morte sarebbe urgente disegnare un nuovo equilibrio politico ed economico in Asia ma ciò è difficile in un momento di crisi economica globale e di crescente diffidenza tra le due potenze globali, Usa e Cina, che hanno agende in parte diverse per la regione.
Proprio queste preoccupazioni potrebbero spingere tutti a essere più ragionevoli. In particolare, la politica americana in Corea del Nord è stata finora estremamente saggia, evitando per oltre un decennio di esasperare le tensioni e derive belliche come quelle in Afghanistan o Iraq. Il futuro della Corea del Nord potrebbe essere il nuovo importante terreno di incontro tra Usa e Cina per gli equilibri asiatici e se ciò non accadesse le frizioni tra le due potenze potrebbero accelerarsi. Comunque si dipani, la vicenda emarginerebbe l'Europa. Le capitali del vecchio continente dovrebbero riflettere su questo, al di là delle urgenze immediate di euro e dintorni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

20/12/2011
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