La Ue insegue Pechino in Africa
ADV
ADV
La Ue insegue Pechino in Africa

La Ue insegue Pechino in Africa

Strategie di sviluppo. Fallita la politica di cooperazione l'Europa cerca di colmare il divario con la Cina
di lettura
BRUXELLES. Dal nostro inviato
Potrebbe essere il suo "cortile di casa", un po' come l'America latina lo è per gli Stati Uniti. Da anni, invece, il dialogo tra Europa e Africa si è inceppato. La politica della cooperazione, degli aiuti a fondo perduto è fallita. Nonostante la relativa generosità: Bruxelles ha stanziato quasi 10 miliardi di euro tra il 2000 e il 2013.
Cina e India hanno fatto prestissimo a riempire il vuoto: piacciono agli africani perché sono efficienti e tempestive nella realizzazione dei progetti, lavorano a prezzi stracciati, sono larghi di crediti a lungo termine e poi, al contrario degli europei, non si impicciano di democrazia, corruzione e rispetto dei diritti umani. Insomma non danno lezioni a nessuno.
Ora però l'Europa sembra riscoporire l'importanza della carta africana: in tempi di crisi economica, di penuria di crescita e fame diffusa di energia oltre che di materie prime, la perdita del continente nero non è di quelle che si può permettere impunemente. L'ha capito la Commissione Ue che, con il suo vice-presidente Antonio Tajani, lancia la grande scommessa delle reti di trasporto transafricane. L'ha capito anche l'Italia che, grazie all'iniziativa del ministero dello sviluppo economico, dell'Ice e di Confindustria, punta a creare partnership sempre più strette tra imprese italiane e africane.
«Per il bene dell'Europa dobbiamo impegnarci in Africa, un grande mercato del futuro. Oggi abbiamo tutti interesse alla sua stabilità politica ed economica, a fare business aiutandone lo sviluppo», afferma Tajani. Con in testa un progetto molto concreto: «L'interconnessione delle reti di trasporto, che prima è servita a rafforzare il mercato interno europeo, ora deve servire ad aprirne le porte per legarci all'Africa. Ricorrendo non solo ai fondi europei ma anche ai capitali privati e agli imprenditori che abbiano voglia di investire».
Il continente è un forziere di materie prime: 10% delle riserve mondiali di petrolio, il 90% di quelle di platino, cobalto e cromo, il 60% di quelle di manganese, il 40% di quelle d'oro, il 30% di quelle di uranio e bauxite, il 25% di quelle di titanio. Per non parlare delle sue enormi potenzialità di sviluppo, agricolo in testa, se solo venisse sfruttato come si deve. Da tempo l'hanno capito benissimo i cinesi, i nuovi colonizzatori all'arrembaggio, insieme agli indiani, di ricchezze di cui tutto il mondo industrializzato ed emergente ha una fame insaziabile.
Lo ha capito anche la Russia di Medvedev che non a caso in questi giorni è in visita in alcune capitali africane per firmare contratti vari: per l'acquisto di uranio, per entrare con Gazprom nel progetto di gasdotto trans-sahariano, un'impresa da 4.300 chilometri e 15 miliardi di dollari, che dovrebbe trasportare il gas dalla Nigeria fino alle coste di Italia e Spagna. Nelle intenzioni doveva essere per l'Europa una delle vie di diversificazione dalle forniture russe. A quanto pare non lo sarà. Come rischia di non esserlo l'altra scommessa su Caucaso e Asia centrale.
Finalmente comincia a capirlo anche l'Europa, che un tempo aveva un canale privilegiato con l'Africa ma ora è costretta a giocarvi di rimessa. Tra mille incomunicabilità. Come? Ripartendo per molti versi da zero, dalla costruzione di infrastrutture di trasporto, l'anello clamorosamente mancante di qualsiasi strategia di sviluppo.
I dati sono agghiaccianti. La densità stradale oggi non arriva a 7 chilometri per 100 chilometri quadrati, quando in America Latina è di 12, in Asia di 18. La rete ferroviaria è casuale: o non c'è come in 16 paesi, o non è interconnessa come in Africa occidentale e centrale. Eppure sulle strade, in cattivo stato, transita quasi il 90% del traffico merci. Gli incidenti costano a ogni paese dall'1 al 3% del Pil.
Soltanto tre aeroporti compaiono tra i primi 150 del mondo, con decolli pari al 3% di quelli mondiali, ma incidenti pari al 19%. Il commercio internazionale viaggia al 92% via mare con l'80% della flotta obsoleta (navi di oltre 15 anni) contro la media mondiale del 15%. I costi di trasporto fagocitano il 15% delle entrate da export, contro il 7 nei paesi in via di sviluppo e il 4 negli industrializzati. La quota africana nel commercio mondiale è scesa dal 6 al 2 per cento.
Per riallacciare con l'Africa la scelta europea non poteva essere più appropriata. Almeno sulla carta. Seguiranno i finanziamenti e le imprese Ue che, numerose, hanno lasciato il continente? Secondo Michel Demar, francese, presidente della European Internazional Contracton, amministratore delegato di una società di costruzioni presente in 40 paesi (una volta anche in Africa), sarà una bella sfida. «Troppe ingerenze e instabilità politiche, difficoltà di finanziamento, penuria di risorse locali» riassume.
Resta che l'importanza strategica del continente è troppo alta perché l'Europa oggi possa permettersi il lusso di voltargli le spalle lasciando campo aperto all'opaca concorrenza cinese.
A. C.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ADV


6,84
Le strade
L'Africa ha una densità viaria di meno di 7 chilometri di strade per 100 chilometri quadrati di superficie
16
Le ferrovie
I paesi africani che non sono dotati di linee ferroviarie. Tra i primi 150 aeroporti internazionali, solo 3 sono africani
92%
Gli scambi
È la quota del commercio internazionale dell'Africa che avviene su mare. L'80% delle navi sono obsolete
15%
Tassa occulta
I costi di trasporto pesano per una quota pari al 15% sulle entrate generate dalle esportazioni

26/06/2009
ADV