La storia di Doris e Tony innamorati del Belpaese
ADV
ADV
La storia di Doris e Tony innamorati del Belpaese

La storia di Doris e Tony innamorati del Belpaese

I protagonisti. I Phua e il loro piccolo impero del lusso in Asia
di lettura
MILANO
Giurano che Doris e Tony Phua venderanno cara la pelle. Proprio loro, la coppia di Singapore che ha iniziato vendendo pentole made in Germany e che ora siede su un impero di venti negozi di arredo di lusso sparsi in tutta l'Asia.
Un gruppo di imprenditori brianzoli per i quali i Phua sono il cliente per antonomasia, stanno volando a Pechino per partecipare alla conferenza stampa che Da Vinci ha indetto per chiarire la sua posizione rispetto alle accuse di aver venduto in Cina falso made in Italy. Partono, gli industriali brianzoli, in difesa del loro made in Italy, visto che i Da Vinci, per loro, sono il mercato cinese.
Un impero in continua ascesa, quello di Doris e Tony, con la prospettiva, cullata da due anni almeno, di quotarsi in borsa a Shanghai. Fondamentale il cambio di stile deciso negli ultimi tempi, con il passaggio dall'arredamento tutto fronzoli al rigore del design occidentale, meglio se coniugato alle griffe della moda tanto amate in Cina, Armani, Fendi, Blumarine, Cerruti Baleri, Versace e, ultimo arrivato, Diesel.
«Per le seconde case – ci aveva detto Doris in occasione della settimana Da Vinci allo Shanghai Mart lo scorso mese di ottobre (si veda la foto in pagina) – le ricche giovani coppie cinesi vogliono più rigore, ambienti chic, di classe, con quel sapore di made in Italy che li ha conquistati». Con Doris e Tony, il vero made in Italy l'anno scorso ha fatturato una cinquantina di milioni di euro.
Da Cantù, arriva, via telefono, la voce sconsolata di Tino Cappelletti, il mobiliere storico partner di Da Vinci dal lontano 1994. I reporter dell'inchiesta televisiva che mette sotto accusa il gruppo di Singapore (si veda il link qui sotto) passata domenica scorsa in prima serata alla tv di Stato cinese è entrata perfino nella sua fabbrica. «L'accusa che fanno è quella di comprare prodotti Cappelletti in Italia ma di farli fare in Cina, ho visto nel video un pezzo mio confrontato con un pezzo di fabbrica non mio. Sono venuti da me subito dopo il Salone del mobile, volevano fare un'inchiesta. Con Da Vinci noi facciamo tre o quattro milioni di fatturato, ma ci vado personalmente in Cina tre o quattro volte all'anno, a controllare. Mi fido di loro».
Aggiunge Cappelletti: «Si stanno facendo quotare in borsa, da due anni ci lavorano, è un gruppo così attivo, dal 1994 fa passi avanti, è una realtà importante anche per l'aspetto politico-finanziario. La Cina è la patria delle copie Armani e Versace, cosa vuole che le importi che una società come questa faccia copiare dei pezzi? L'accusa, francamente, mi sembra pretestuosa. Non so».
I cinquanta milioni di fatturato passano dalla Jumbo, sempre a Cantù, la società di Antonio Munafò, il brianzolo che ha l'esclusiva Da Vinci e che ha aperto ai Phua le porte del mondo dell'arredo. Quando Tony e Doris rievocano i primordi del loro sodalizio spuntano i lucciconi. «Quest'anno il preconsuntivo è già di venti milioni – dice Munafò – non possiamo mollare nemmeno noi. Non deve passare l'idea che il principale canale distributivo di arredamento italiano di alta fascia sia solo un paravento perché così non è».
Dario Rinero, amministratore delegato di Poltrona Frau (i marchi di alto design, Cassina, Cappellini, Nemo), che nell'alleanza con i Da Vinci, stretta appena qualche mese fa, ha creduto fortemente, è sintetico, ma chiaro: «Poltrona Frau Group, riconoscendo che il problema sollevato non riguarda i prodotti del gruppo sui quali esercita un controllo di filiera molto accurato, anche attraverso personale locale, è fiducioso nei confronti di Da Vinci e rimane confidente che lo spiacevole episodio si possa chiarire al più presto».
Si deve chiarire al più presto, la questione. C'è chi come Alberto Vignatelli, licenziatario di Fendi casa non vede altre possibilità, chiarire, quanto prima: «Da Vinci stava cambiando strategia, puntando a una fascia alta di mercato. Per noi andava nella giusta direzione e, onestamente, devo ammettere che è un partner di cui ci fidiamo. Di birichini ne abbiamo visti tanti, in passato. Proprio per questo bisogna insistere». Stephan Hamel, international marketing manager di Cerruti Baleri, è basito. «Abbiamo appena chiuso la settimana Da Vinci di Pechino, a fine giugno, sulla falsariga di quella di Shanghai, che ci è piombata in testa questa tegola. Sinceramente Doris e Tony non hanno risparmiato né forze né risorse in questi giorni. Tutto era filato liscio fino all'ultimo minuto. Siamo increduli. Abbiamo segnalato la questione all'ambasciata italiana a Pechino, siamo sicuri che il nostro sostegno servirà a chiarire come stanno veramente le cose».
http://news.cntv.cn/china/20110710/105405.shtml

Il link alla trasmissione cinese per l'emittente Cctv, con riprese effettuate anche in Brianza, che indaga sull'attività di Da Vinci e sulla qualità e provenienza dei prodotti in vendita nei sofisticati negozi Da Vinci

ADV


Milano incontra Shanghai. Durante la rassegna autunnale dedicata ai punti in comune tra le due capitali del design Doris Phua, in abito Blumarine, aveva accettato di parlare del presente e soprattutto del futuro di Da Vinci, un marchio di arredamento che Doris, a un certo punto, ha deciso di adottare come cognome vero e proprio. In omaggio all'Italia.

12/07/2011
ADV