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Visto così, il 2010 rischia di essere l'anno del «vorrei, ma non posso (o non oso)». L'anno in cui, per dirla con le parole di Trevor Greetham di Fidelity International, «Per la prima volta dal 2007 siamo di nuovo in presenza di condizioni favorevoli per coloro che vogliono investire in azioni». Ma anche l'anno dell'exit strategy da parte delle banche centrali, che alzando i tassi con troppa precipitazione potrebbero mettere i bastoni fra le ruote della ripresa economica e quindi anche dei listini.
Incertezza è quindi più che mai la parola d'ordine fra gli addetti ai lavori. «Le previsioni sui mercati per il 2010 sono caratterizzate da livelli di incertezza superiori al normale», sostiene Larry Kantor di Barclays Capital. Anche perché, come sottolinea Alan Brown di Schroders, «non esistono precedenti storici alla situazione di oggi e dobbiamo riconoscere che il ventaglio dei possibili scenari futuri è molto più ampio di quanto si possa immaginare. Viste le premesse, premiare la diversificazione e mantenere la giusta flessibilità per rispondere agli sviluppi è la prima e forse la più importante conclusione».
«Dal beta all'alfa», titola del resto una ricerca di Credit Suisse, indicando il passaggio di testimone tra i rendimenti derivanti dalla crescita media dei mercati (il beta appunto, che ha caratterizzato il 2009 da marzo in poi) a quelli che si ottengono scegliendo singoli titoli (l'alfa, tema del 2010). Selezione e massima flessibilità sono le ricette per gli investimenti 2010. E fino a questo punto il messaggio non è di quelli particolarmente innovativi, anche perché arriva dalle stesse case che vendono prodotti per la gestione dei risparmi. Qualcosa in più si può però capire dando un'occhiata ai singoli consigli di investimento o alle storie più interessanti che ciascun outlook contiene: ognuno ha il suo «pallino», ma quasi tutti puntando il dito sulle Borse dei mercati emergenti come asset regina.
«Temi di crescita secolare come i mercati emergenti sono riusciti a superare la crisi in modo migliore rispetto ai quelli sviluppati e restano ancora validi», ricorda Frédéric Buzaré di Dexia Am, mentre Swiss & Global Am circoscrive ulteriormente la fascia di interesse agli emergenti dell'Asia «dove gli indicatori anticipatori inducono a credere in un vivace recupero della congiuntura».
Nelle «nuove frontiere» crede senza remore anche Ubs, che si spinge a consigliare in via generale – oltre all'investimento diretto nei listini più classici quali Cina, India o Brasile – anche «tutti i settori o le società dei paesi industrializzati che mantengono una significativa esposizione sui mercati emergenti». Dubbi o voci fuori dal coro? Pochi per la verità, quando si tratta degli emergenti. Ma su una classe di investimento del genere vale la pena di ricordare che anche i rischi che si prendono (oltre che rendimenti) sono elevati. La ricetta degli strategist reca dunque le seguenti avvertenze: assumere a piccole dosi e mantenere in portafoglio per un lasso temporale sufficientemente lungo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
02/01/2010
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