La rivoluzione dello yuan
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La rivoluzione dello yuan

La rivoluzione dello yuan

Pechino sfida il mondo - LA NEW YORK DEL FUTURO
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«Hong Kong? È un laboratorio ideale». Joseph Yam, ex numero uno della Hong Kong monetary authority, non poteva trovare un'espressione più azzeccata: «laboratorio». Nella ex colonia britannica la Cina sta infatti portando avanti un esperimento che potrebbe cambiare il futuro dei mercati finanziari: sta lentamente trasformando il renminbi, la moneta cinese anche chiamata yuan, in una vera valuta internazionale. Tanti osservatori vedono in questo esperimento un obiettivo di lungo termine ben preciso: affiancare un giorno il dollaro nel ruolo di valuta-riserva mondiale. E, nello stesso tempo, ridurre la dipendenza cinese dalla moneta statunitense per i suoi scambi commerciali.
La rivoluzione è già iniziata. La scorsa estate Pechino ha concesso ai residenti di Hong Kong e poi agli stranieri di avere conti bancari denominati in renminbi presso alcune banche dell'ex colonia britannica. Poi ha aperto alle società estere la possibilità di finanziarsi direttamente nella valuta cinese o di emettere obbligazioni, al fine di dare uno sbocco di mercato a questi depositi «offshore». La prossima tappa, ormai imminente, sarà di rendere possibile la creazione di fondi comuni d'investimento denominati in valuta locale.
«Io credo che l'ambizione di Pechino sia di trasformare lo yuan nel dollaro del futuro – azzarda Mattia Nocera, amministratore di Global selection Sgr appena tornato dalla Cina –. Pechino non vuole continuare a comprare dollari, ma vuole che sia il resto del mondo a comprare renminbi». Di sicuro ci vorranno decenni. Forse un giorno sarà la Federal Reserve Usa a tenere riserve in yuan. O forse non accadrà mai. Una cosa è certa: la Cina ci sta provando.
La rivoluzione finanziaria
La svolta veramente epocale è della scorsa estate, quando Pechino ha creato un mercato obbligazionario denominato in renminbi. Fino a quel momento se un'impresa voleva svolgere attività in Cina, doveva reperire i capitali in valuta estera e poi convertirli presso la banca centrale cinese. Non poteva finanziarsi direttamente in yuan. Questo alimentava sempre più l'accumulo di riserve in valuta da parte della banca centrale di Pechino. Ed esponeva le imprese estere a un rischio cambio. La creazione di un mercato internazionale dove reperire finanziamenti direttamente in yuan era dunque un'esigenza collettiva. E la Cina ha scelto Hong Kong per farlo. Prendendo i proverbiali due piccioni con una fava: da un lato beneficia dell'avanzato sistema legislativo dell'ex colonia, dall'altro mantiene la rivoluzione sotto stretto controllo.
Lo scorso luglio Pechino ha dunque iniziato ad aprire le porte dell'ex colonia: pur con alcune limitazioni, le imprese estere possono ora ottenere finanziamenti ed emettere obbligazioni in valuta cinese. Il 7 luglio è stato tagliato il nastro: Hopewell Highway ha infatti lanciato il primo bond in renminbi (da 1,38 miliardi) di un'impresa non cinese. Poi è arrivato il gruppo americano McDonald's, che ha emesso un titolo da 200 milioni di yuan. Più recentemente ha fatto la stessa scelta il gruppo Caterpillar.
Sempre da luglio, qualunque società internazionale ha la possibilità di aprire conti bancari in renminbi a Hong Kong. La conversione dei depositi in valuta cinese è dunque lentamente aumentata, stimolando la creazione di prodotti finanziari in yuan. Anche la stessa Intesa Sanpaolo poche settimane fa ha annunciato di avere avuto dalle autorità cinesi l'autorizzazione per permettere ai propri clienti di effettuare operazioni oltre-confine in renminbi.
Morale: una valuta chiusa come lo yuan, in breve tempo ha iniziato ad animarsi. Da gennaio a settembre 2010 i depositi in renminbi presso le banche di Hong Kong sono raddoppiati, arrivando a 149 miliardi: si tratta pur sempre del 3% dei depositi totali nella ex colonia britannica, ma comunque è un grande balzo in avanti. Anche i volumi commerciali in valuta cinese sono cresciuti velocemente. «Le autorità cinesi stanno cercando di creare un mercato internazionale per lo yuan – osserva Mattia Nocera – per ampliarne l'utilizzo a livello commerciale e finanziario anche fuori dalla Cina in maniera graduale».
Piccoli passi
I cambiamenti, per ora, sono lenti. E la Cina li vuole mantenere tali, perché trasformare il renminbi in una valuta liberamente convertibile da un giorno all'altro provocherebbe un suo apprezzamento e strozzerebbe le esportazioni. Già nel 2008, ad un anno dall'inizio della crisi finanziaria internazionale, il 53% delle imprese di giocattoli cinesi era finito in bancarotta: alzare ora il valore della valuta le soffocherebbe ulteriormente. «I cinesi temono innanzitutto di penalizzare gli esportatori, che già hanno sofferto per la crisi internazionale – commenta William Overholt, professore della Harvard Kennedy School –. Per non parlare del fatto che la banca centrale ha le riserve principalmente in dollari: un apprezzamento del renminbi penalizzerebbe anche lei».
Insomma: meglio muoversi con piccoli passi. La Cina sta in pratica cercando di tenere la botte piena e la moglie ubriaca: vuole da un lato mantenere i privilegi di un tasso di cambio quasi "congelato", dall'altro cerca di rendere la propria valuta più internazionale per smarcarsi dalla dipendenza dal dollaro. «Il problema è che questo obiettivo potrà essere raggiunto solo a due condizioni – osserva Overholt –. Uno: la valuta deve essere resa convertibile. Due: i tassi d'interesse a lungo termine non devono più essere decisi d'ufficio dalle autorità». Ecco perché, per ora, Pechino si limita a creare ad Hong Kong un «laboratorio». Vuole testare il mercato poco a poco. Poi, si vedrà.
m.longo@ilsole24ore.com
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I grafici mostrano l'andamento dei finanziamenti in Cina (totali e alle imprese), che restano bassi rispetto al Pil: la leva è limitata. Segno che la Cina ha spazio per crescere. L'ultimo grafico mostra come i consumi cinesi stiano "sostituendo" quelli Usa.

07/01/2011
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