Pechino, 3 set. - In un momento in cui i mezzi di comunicazione occidentali vivono un momento di forte contrazione, i media Cinesi ampliano rapidamente i propri orizzonti. Pechino sta investendo miliardi nella macchina statale dei mezzi di comunicazione, per dar vita a nuove stazioni televisive, radio e giornali, rivolti a un pubblico straniero. Emergono tuttavia delle difficoltà per i giornalisti radiotelevisivi e le agenzie non statali. Una di queste, come la Blue Ocean Network (BON TV), posseduta e gestita da cinesi, all'interno della Cina, spera di offrire ai telespettatori americani di tv via cavo una nuova prospettiva sul paese più popoloso del mondo, ma non ha trovato un percorso facile.
Secondo le parole del suo co-fondatore, Justin Ku, un cinese con passaporto americano, il progetto non ha ricevuto i finanziamenti statali ed e' proprio questa probabilmente la chiave di svolta per una nuova linea di informazione, totalmente indipendente. La storia BON, le sfide che ha affrontato e i propri piani di espansione, sollevano interrogativi sul futuro dei media cinesi all'estero. Secondo Ku, che prima era produttore di alcuni programmi per la CCTV attraverso una compagnia indipendente, quello che fa la differenza tra la BON TV e i suoi omologhi gestiti dallo stato e' non solo la sua indipendenza dallo stato, ma anche i contenuti che offre. " Noi dobbiamo rispecchiare la Cina, e anche il suo lato negativo. Non possiamo di certo evitarlo. Se trascuriamo e censuriamo queste cose, non offriamo una vera immagine della Cina al pubblico occidentale" afferma, sottolineando come storie di prostituzione e abusi su minori devono essere raccontati, senza paura di mostrare una Cina non moralmente intatta.
Secondo Li Cheng, direttore del Comitato Nazionale per le relazioni USA-Cina alla Brookings Institution, il Governo Cinese crede che l'immagine internazionale della Cina sia uno dei problemi più importanti. Secondo un recente sondaggio della BBC/Globescan su un campione di 28 nazioni, solamente in Africa e Pakistan la Cina viene vista positivamente, mentre in Asia, Nord America, Europa e America Latina non raccoglie molti consensi nell'opinione pubblica. Parte di questo risultato, sostiene Li, è attribuito alla scarsa conoscenza della Cina. La crescita economica della Cina dovrebbe avere un'influenza anche culturale e politica e questo ha inevitabilmente prodotto grandi cambiamenti per alcuni dei più importanti media statali del paese.
Investimenti sempre maggiori su giornalisti ed editori occidentali per ristrutturare contenuto e formato dei programmi portano inevitabilmente a una trasformazione radicale nei modi di gestire l'informazione. Si assiste a una spinta per assumere giornalisti che hanno studiato e lavorato all'estero o che hanno partecipato a corsi, attivati di recente presso le università cinesi, di giornalismo internazionale. Nel mese di luglio, la Xinhua, l'organismo di informazione più grande del paese, ha dato il via ad un canale news in lingua inglese e presto aprirà una sede nel cuore di Manhattan; mentre la CCTV (China Central Television), che già trasmette in inglese, francese e spagnolo, lo scorso anno ha attivato un canale in lingua araba, in onda in 22 Paesi. Il quotidiano China Daily, sta creando edizioni europee e americane e la Radio Cina Internazionale (CRI) continua ad espandere le sue stazioni dal Texas alla Thailandia.
La Cina vive uno sviluppo dei canali di informazione che prendono spunto da programmi stranieri. La volontà della Cina di farsi avanti nel mercato dell'informazione e' grande e, come sostiene Ku, "è arrivato il momento si lanciare questa grande campagna, la grande impresa".
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