La fabbrica del mondo consumerà meno acciaio

Per capire che aria tira in Cina non c'è miglior punto di osservazione del loro. E se Bhp Billiton e Rio Tinto dicono che Pechino sta frenando, c'è da crederci. I giganti minerari australiani, che spediscono tonnellate su tonnellate di materie prime all'industria cinese, fino a tempo fa ostentavano fiducia nella tenuta della domanda. Ma adesso anche nel loro radar è comparso un segnale di allarme. «L'economia cinese sta scalando marcia, sta cambiando», ha dichiarato ieri durante una conferenza Ian Ashby, presidente della divisione Minerale di ferro di Bhp Billiton. «Il tasso di crescita dell'industria siderurgica in particolare si appiattirà, anzi l'ha già fatto». Di conseguenza Pechino rallenterà gli acquisti di minerale di ferro, ingrediente fondamentale per la produzione di acciaio primario. Niente di catastrofico: la domanda salirà comunque – tanto che Bhp, almeno per ora, non ha ridimensionato i piani di investimento per espandere le miniere – ma non più con il ritmo a doppia cifra percentuale mostrato negli ultimi 8 anni (con l'unica eccezione del 2010).
Anche Rio Tinto non è più ottimista come qualche mese fa. «La crescita del Pil sta rallentando più velocemente – ammette David Joyce, managing director per i progetti di espansione della mineraria – Sulla base delle cifre che abbiamo visto, restiamo comunque fiduciosi che la crescita quest'anno rimarrà solida e che ci sarà un soft landing».
Non tutti ne sono convinti. Da quando Pechino ha ridotto dall'8 al 7,5% l'obiettivo di crescita per quest'anno, il pessimismo tra gli analisti sta aumentando. Adrian Mowat, strategist per l'Asia e i mercati emergenti di Jp Morgan Chase, è addirittura dell'opinione che l'economia cinese abbia già intrapreso un hard landing: una frenata brusca, che viene di solito identificata con un tasso di crescita annuo inferiore al 7%, contro il +9,2% del 2011. «Se guardate ai dati cinesi, dovreste smettere di dibattere sulla possibilità di un hard landing – ha dichiarato Mowat la settimana scorsa – La Cina è in hard landing. Le vendite di auto sono in calo, la produzione di cemento è in calo, la produzione di acciaio è in calo, i titoli del settore edile sono in calo. Ormai non è più un tema di dibattito. È un fatto». Un fatto che, se confermato, potrebbe addirittura costituire un vantaggio per l'Europa, secondo Société Générale: in tal caso, afferma la banca in un recente rapporto, il prezzo del petrolio finalmente scenderebbe, aumentando il potere di acquisto in Occidente. Anche i listini azionari del Vecchio continente potrebbero giovarsene, perché le società europee generano solo il 6% del fatturato in Cina.
Le affermazioni di Bhp Billiton, per il momento, non hanno avvantaggiato le Borse. I titoli minerari, in particolare, hanno sofferto, trainando in ribasso dell'1,2% il listini di Londra, dove sono fortemente rappresentati. Ribassi diffusi hanno colpito anche i mercati delle materie prime – in particolare il London Metal Exchange, dove sono quotati i metalli non ferrosi, come il rame o l'alluminio – ed ha perso quota anche il dollaro australiano. Un quarto delle esportazioni di Canberra si dirigono infatti verso la Cina e in gran parte sono costituite proprio da minerale di ferro. Le vendite di quest'ultimo, già in calo dall'inizio dell'anno, in gennaio hanno portato la bilancia commerciale australiana in deficit per la prima volta da 11 mesi.
La produzione di acciaio in Cina non è crollata. Le statistiche diffuse ieri dalla World Steel Association mostrano anzi che il mese scorso è salita a 55,9 milioni di tonnellate, un aumento del 3,3% rispetto a febbraio 2011 (quando però si era festeggiato il Capodanno lunare, quest'anno caduto in gennaio). In gran parte grazie alla Cina, l'output mondiale ha recuperato l'1,9% a 119 milioni di tonn. I grandi investimenti in infrastrutture stanno però rallentando nella Repubblica popolare e in modo ancora più netto sta frenando l'edilizia civile, moderata dallo stesso Governo, che teme il rischio di una bolla immobiliare.
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21/03/2012