La crisi globale rallenta l'economia cinese
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La crisi globale rallenta l'economia cinese

La crisi globale rallenta l'economia cinese

Pechino. A dicembre il Pmi manifatturiero ancora negativo
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Attività manifatturiera debole. Investimenti stranieri in flessione. Prezzi immobiliari alle corde. Esportazioni in rallentamento. Piccole e medie imprese a corto di liquidità.
Addomesticata l'inflazione (almeno così sembra), la grande nemica che per tutto il 2011 ha tenuto sotto scacco il Paese, la Cina si ritrova all'improvviso a fare i conti con una serie di altri problemi che rischiano di turbarne gli equilibri macroeconomici. Gli ultimi dati poco confortanti sulle prospettive della congiuntura del Dragone sono arrivati questa settimana: a dicembre, l'indice Pmi elaborato dalla Hsbc è rimasto in territorio negativo attestandosi a quota 49 (sotto i 50 punti l'attività manifatturiera è in una fase di contrazione); a novembre, per la prima volta da 28 mesi, gli investimenti esteri oltre la Grande Muraglia hanno rallentato la corsa (+9,8%, pari a 8,8 miliardi di dollari).
Nella congiuntura globale, a preoccupare Pechino è soprattutto la crisi debitoria europea. La Ue è il primo partner commerciale della Cina e, quindi, il raffreddamento della domanda del Vecchio Continente (abbinato con la debolezza dei consumi americani e giapponesi) rischia di mettere in difficoltà l'industria manifatturiera. Lo dimostra l'ennesima flessione del ritmo di crescita delle esportazioni registrata a novembre (+14% contro +16% di ottobre).
Il Pil nel terzo trimestre 2011 è cresciuto del 9,1% e gli investimenti stranieri si accingono a chiudere l'anno con l'ennesimo record (dovrebbero portarsi a ridosso di 120 miliardi di dollari). Tuttavia, le articolazioni del gigante cinese cominciano a scricchiolare in più punti (anche nella contrazione delle vendite e dei prezzi immobiliari). Il Governo cinese ne è perfettamente consapevole e anche i mercati finanziari sono sotto forte pressione, come dimostra l'andamento altalenante delle Borse di Shanghai e Hong Kong.
Una pressione che negli ultimi giorni ha investito anche lo yuan. La moneta cinese, sebbene sia inconvertibile e i suoi movimenti siano limitati all'interno della stretta banda di oscillazione fissata quotidianamente dalla Banca centrale (0,5% in su o in giù rispetto a un misterioso paniere valutario di riferimento che, in realtà, è rappresentato quasi interamente dal dollaro), nelle ultime due settimane ha avuto un andamento insolitamente nervoso e volatile.
Dopo aver inanellato una serie di sedute al ribasso ieri lo yuan ha bruscamente invertito la rotta. E durante le contrattazioni ha raggiunto il massimo di tutti i tempi sul dollaro toccando quota 6,3294. Il renminbi ha guadagnato il 3,5% sul dollaro dall'inizio del 2011, e il 7,3% dal giugno 2010 quando abbandonò l'ancoraggio con la moneta americana.
Secondo gli operatori, l'improvviso strappo di ieri sarebbe stato innescato da massicce vendite di dollari operate dalle grandi banche di Stato cinesi. Che, su precisa disposizione della People's Bank of China, sono intervenute sul mercato per arrestare la recente flessione dello yuan causata dai timori e dalle incertezze che iniziano a circondare l'economia cinese.
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17/12/2011
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