La Cina vuole stare al tavolo anti-crisi
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La Cina vuole stare al tavolo anti-crisi

La Cina vuole stare al tavolo anti-crisi

Contagio globale. I Paesi asiatici chiedono più coordinamento a Europa e Usa
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TOKYO. Dal nostro inviato
La paura del diffondersi del contagio euro-americano spinge l'Asia a evocare l'esigenza di un coordinamento delle risposte delle autorità pubbliche alle paure degli investitori privati. Al termine di una giornata di pesanti ribassi delle Borse regionali, da Giappone, Cina e altri paesi si sono levate voci autorevoli per chiedere che - anche prima del prossimo G-20 di settembre - si approfondiscano i contatti e le discussioni per mandare segnali in grado di contrastare il pessimismo imperante sui mercati.
Il più esplicito è stato il ministro dell'Economia giapponese Kaoru Yosano, secondo cui Usa, Europa e Giappone dovrebbero tenersi in stretto contato per cercare di coordinare le loro politiche ed «evitare una situazione in cui i timori generino nuovi timori», mentre il ministro delle Finanze, Yoshihiko Noda, ha dichiarato che c'è grande necessità di discutere su distorsioni valutarie, crisi del debito e preoccupazioni sull'economia Usa, anche per fissare le priorità in vista del prossimo G7-G20.
Tokyo è stata lasciata sola e senza appoggi nella sua decisione di intervenire sul mercato dei cambi con massicci acquisti di dollari - le ultime voci parlano di un'operazione da oltre 50 miliardi di dollari - la cui efficacia resta tutta da verificare. «È stato come dare la morfina: sollievo temporaneo che non risolve il problema fondamentale», ha affermato Masamichi Adachi di JPMorgan Chase. Con lo yen che non si schioda da quota 78 o poco più sul dollaro, le autorità nipponiche sono costrette a minacciare nuovi interventi, la cui unica conseguenza sicura sarebbe l'aumento delle riserve valutarie, già arrivate a un nuovo record ( +1,1% in luglio a 1.150,88 miliardi di dollari). Intanto dalla capitalizzazione della Borsa giapponese sono stati spazzati via circa 100 miliardi di euro con il calo del 3,7% del Nikkei (uguale a quello del Kospi a Seul, ma inferiore al tonfo del 4,3% a Hong Kong e del 5,6% a Taipei).
Il ministro degli esteri cinese Yang Jiechi ha colto l'occasione della sua visita in Polonia per inquadrare il tema di una necessaria collaborazione internazionale soprattutto in termini di richiamo alla responsabilità primaria degli Stati Uniti, con qualche bacchettata anche all'Europa: «Tutti i Paesi devono rafforzare la comunicazione e il coordinamento, portare avanti le riforme nel sistema finanziario globale e migliorare la governance dell'economia globale». Ha poi cercare di rassicurare l'Europa sul fatto che il supporto cinese continuerà, ma ha evidenziato la necessità che gli Usa adottino politiche monetarie «responsabili» per proteggere gli investimenti in dollari e non minare il trend di recupero dell'economia globale con possibili sconquassi finanziari. Dichiarazione non nuova, che tende ad acquistare un significato più preciso ora che si è tornati a parlare della possibilità di un nuovo round di stimoli monetari all'economia americana. La Cina, insomma, chiede anzitutto stabilità per il dollaro, anche se il focus dei mercati sembra essersi orientato sui timori per la debolezza dell'economia Usa (sia pure attutiti dagli ultimi dati sull'occupazione).
Da altre capitali asiatiche, infine, si è sottolineato che nella regione resta il problema di combattere le spinte inflazionistiche: una situazione che renderebbe difficile l'introduzione di nuovi stimoli fiscali in caso di rallentamento dell'economia mondiale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

06/08/2011
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