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Ma tra gli economisti non tutti vedono il bicchiere mezzo vuoto nella scelta di Pechino. Nonostante la riduzione di T-Bond, la grande potenza asiatica si è infatti confermata ugualmente il primo investitore mondiale in titoli di Stato americani. Ri-superando il Giappone, che ha a sua volta ridotto l'esposizione di 300 milioni di dollari a 765,4 miliardi. Questo potrebbe dunque indicare che Pechino non intenda usare la sua posizione nei bond in un braccio di ferro bilaterale. Insomma: è difficile leggere la scelta di Pechino. Sta di fatto che la sua vendita di titoli di Stato Usa alimenta la speculazione e i timori.
Anche perché la tensione tra Washington e Pechino è tornata a crescere negli ultimi mesi su molteplici fronti: dalle valute alla censura a Google, fino allo scontro seguito al fatto che il presidente Obama ha ricevuto il Dalai Lama. In un segno del momento difficile, domenica il premier di Pechino Wen Jiabao ha accusato Washington di protezionismo per gli inviti a rafforzare lo yuan. E ieri un gruppo di 130 deputati sia democratici che repubblicani ha risposto chiedendo all'amministrazione di Barack Obama di far scattare ritorsioni commerciali se la Cina non darà ascolto alle proteste sulla sottovalutazione della divisa.
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16/03/2010
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