La Cina « si allontana» dal dollaro
La Cina si allontana dal dollaro. Pechino, stando a nuovi dati in arrivo da entrambi i Paesi, ha drasticamente ridimensionato la porzione delle sue riserve valutarie, la più grande cassaforte al mondo, investita nel biglietto verde. Nell'arco di due anni l'esposizione di questo «tesoro», stimato in 3.200 miliardi, ai titoli a stelle strisce è scivolata dal 65% al 54%, ai minimi da un decennio. Il calo è ancora più pronunciato - di quasi un quarto - dal 2006, quando le riserve avevano appena superato i mille miliardi.
La rivelazione dà credito alle ipotesi di un riequilibrio in corso degli investimenti globali di Pechino in particolare a favore di asset denominati in euro a cominciare da titoli del debito sovrano. Nonostante oppure forse proprio a causa della bufera che oggi scuote il Vecchio continente, con l'obiettivo di scommettere su maggiori opportunità oltre che di diversificare il portafoglio e allargare la propria influenza internazionale. Altri mercati obbligazionari, dal Giappone all'Australia, appaiono troppo modesti per le necessità cinesi.
Pechino potrebbe così giocare in futuro un ruolo crescente nel sostenere il cammino dell'Europa fuori dal tunnel della crisi. Un ruolo che vada al di là degli acquisti di emissioni, stimati tra il 14% e il 24%, nel fondo salva-Stati. Più problematico potrebbe essere invece l'impatto per Washington. La domanda di asset in dollari da parte di investitori stranieri, nell'anno chiuso a giugno, grazie al loro status di bene rifugio è rimasta robusta e in aumento. Nel lungo periodo un cambiamento di strategia cinese potrebbe tuttavia farsi sentire, raffreddando gli entusiasmi per gli asset a stelle e strisce: se non turbolenze potrebbe provocare rialzi dei tassi d'interesse e danni per la crescita.
La destinazione degli investimenti quando si guarda solo all'incremento delle riserve cinesi è particolarmente rivelatrice di una brusca accelerazione. I nuovi capitali accumulati da Pechino negli ultimi dodici mesi sono finiti per il 15% in dollari, rispetto al 45% del 2010 e a una media del 63% nell'arco di cinque anni.
La tendenza, seppur approssimativa perché le statistiche sono considerate non completamente attendibili, è il risultato dell'intreccio di calcoli del Tesoro americano, che vede Pechino detenere allo scorso giugno 1.730 miliardi in titoli statunitensi (in assoluto un aumento di 115 miliardi sull'anno precedente), con rilevazioni cinesi che nello stesso periodo hanno evidenziato un'impennata ben superiore delle riserve totali, del 30%, pari a 743 miliardi di dollari, a 3.200 miliardi. A incoraggiare il ripensamento ha probabilmene contribuito una miscela di fattori oggettivi e soggettivi: più che triplicando in sei anni, le riserve cinesi hanno imposto una diversificazione. Ma Pechino è anche preoccupata per le battaglie politiche a Washington sul debito. Secondo gli analisti ha tagliato anzitutto l'esposizione a colossi para-statali dei mutui caduti in disgrazia quali Fannie Mae e Freddie Mac. E l'appetito per i Treasury potrebbe non essere più quello di una volta: le più recenti indicazioni del Tesoro mostrano un declino di 156 miliardi tra giugno e dicembre, a 1.150 miliardi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
02/03/2012