La Cina rallenta la discesa dello yuan
In una mossa a sorpresa, la People's Bank of China ha stabilito a 6,2891 yuan per un dollaro la parità centrale (rispetto alla quale la moneta può oscillare solo dello 0,5% in più o in meno), nel tentativo di guidare il cambio verso l'alto. Giovedì, lo yuan si era attestato a quota 6,2997 e la parità era stata fissata a 6,3004. In una settimana, la parità è stata alzata dello 0,5%, il maggior incremento da ottobre. Ma ieri, il cambio è comunque sceso a 6,3039 yuan per un dollaro, in una giornata che ha visto invece il biglietto verde arretrare nei confronti dell'euro, risalito a un soffio da quota 1,33 (nel massimo di giornata).
La Banca centrale sta lanciando un segnale preciso: il cammino di apprezzamento - molto graduale - dello yuan, che dopo aver guadagnato il 4,7% nel 2011 quest'anno ha perso lo 0,6%, non è finito. Del resto, se, come il Governo ha dichiarato, Pechino vuole sostenere la domanda interna, la moneta deve salire. Ma gli interventi della Banca centrale ne mettono in luce anche la sensibilità nei confronti dei primi sintomi di fuga di capitali da un'economia che moltiplica i segnali di frenata. L'ultimo è arrivato appunto giovedì, con l'indice Pmi (un anticipatore dell'andamento del Pil) sceso a marzo ai minimi da quattro mesi. Il calo - il quinto consecutivo - non ha fatto che rafforzare i timori per un atterraggio "brusco" - anziché morbido - dell'economia, soprattutto in una fase di aspre tensioni nella classe politica.
E qui il compito della Banca centrale si complica. Perché sostenere lo yuan può danneggiare esportazioni già in calo (a febbraio il Paese ha registrato il deficit commerciale più consistente dal 1989) andando a impattare sul Pil. E se è vero che il Governo vuole spostare il volano della crescita dalle esportazioni ai consumi interni, è anche vero che pilotare il processo evitando traumi non sarà facile. Così, proprio ieri, nelle infinite contraddizioni del sistema cinese, un rapporto della Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme (Ndrc), la più importante agenzia per la pianificazione economica del Paese, ha messo in guardia appunto da un eccessivo rafforzamento del cambio, in un contesto di bassa crescita mondiale: «Se lo stato dell'economia globale continuerà a peggiorare - si legge nel documento - la Cina dovrebbe evitare l'apprezzamento dello yuan o ne risentiranno le esportazioni, soprattutto verso i mercati emergenti». Quest'anno, secondo la Ndrc, le esportazioni potranno aumentare dell'11-15%, contro il 20% del 2011. Previsioni in linea con il target fissato dal premier Wen Jiabao, che il 5 marzo ha parlato di una crescita combinata import-export del 10 per cento.
Ma c'è un fattore in più a preoccupare le autorità cinesi: dopo essere stata un polo d'attrazione irresistibile e aver ricevuto un'iniezione di capitali netti da 250 miliardi di dollari nei primi nove mesi del 2011, la seconda economia del mondo ne ha visti andarsene 47,4 nei restanti tre. Un trend che si è confermato a gennaio, anche se in scala molto ridotta. Inoltre, a fine 2011, il debito estero a breve termine del Paese è salito a 500,9 miliardi di dollari dai 375,7 dell'anno precedente. Questo debito è fatto in gran parte da prestiti in dollari contratti dalle aziende cinesi. «Se la Banca centrale permettesse alle aspettative di deprezzamento dello yuan di consolidarsi, queste posizioni - spiega He Wiesheng di Citibank - potrebbero essere sgonfiate in modo caotico, innescando un circolo vizioso».
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24/03/2012