La Cina raffredda ancora il credito
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La Cina raffredda ancora il credito

La Cina raffredda ancora il credito

Le mosse di Pechino. Le banche dovranno tenere il 20% dei loro depositi presso la Banca centrale
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Inflazione e bolla immobiliare spaventano sempre di più la Cina. Che passa al contrattacco chiudendo ancora una volta i rubinetti del credito.
Ieri la People's Bank of China ha alzato nuovamente di 50 punti base la riserva obbligatoria per le banche (è la terza volta dall'inizio dell'anno). Dal 25 marzo, i principali istituti di credito dovranno tenere congelato il 20% dei loro depositi presso la Pboc (per gli sportelli minori la quota è più bassa).
Questa nuova misura dovrebbe drenare circa 350 miliardi di yuan (38 miliardi di euro) di liquidità, riducendo così ulteriormente i margini di manovra sul lato degli impieghi del sistema bancario cinese. Che, da venerdì prossimo, avrà meno risorse da prestare alla propria clientela.
L'ennesimo ritocco della riserva obbligatoria arriva un mese dopo il rialzo dei tassi d'interesse di 25 punti base annunciato dalla banca centrale subito dopo il Capodanno Lunare per mandare un segnale forte al paese: Pechino vuole stroncare con ogni mezzo l'inflazione che dallo scorso autunno ha rialzato minacciosamente la testa.
«L'inflazione è come una tigre: se riesce a liberarsi, poi diventa molto difficile rimetterla in gabbia», ha ammonito qualche giorno fa il primo ministro, Wen Jiabao. Una metafora che dimostra quanto la nomenklatura cinese sia preoccupata per il rincaro del costo della vita. Contro la quale tutte le misure messe in campo dal Governo si sono rivelate finora poco efficaci.
Nonostante le numerose strette monetarie varate dalla Pboc negli ultimi mesi, infatti, a febbraio il tasso d'inflazione è stato del 4,9% su base annua. Ma la recente recrudescenza inflazionistica, alla quale la nomenklatura attribuisce un alto potenziale destabilizzante economico e sociale, non spaventa la leadership cinese solo per la sua portata quantitativa. Ora a preoccupare Pechino è anche la dinamica trasversale dell'aumento dei prezzi. Se fino a qualche mese fa, infatti, il carburante dell'inflazione era costituito dai generi alimentari, ora anche i prezzi dei beni non-food sono sempre più sotto pressione.
Tra questi a strappare di più verso l'alto sono stati ancora una volta i corsi delle case. Che, come ha annunciato proprio ieri l'Ufficio nazionale di statistica sulla base dei rilevamenti mensili condotti in 70 città campione, a febbraio hanno continuato a crescere in tutto il paese. Dati alla mano, le quotazioni sono aumentate in 56 città (Shanghai e Chongqing si sono rivelate ancora una volta le metropoli con la domanda più "calda"); sono rimaste invariate in 6; e sono scese in 8.
Il "contagio" dei rincari dal settore alimentare al resto del paniere potrebbe essere molto pericoloso per la dinamica dei prezzi al consumo nei prossimi mesi, avvertono gli analisti, secondo i quali il tasso d'inflazione potrebbe anche raggiungere il 6% entro la metà del 2011.
In questo quadro, per contenere l'inflazione il Governo si muoverà su tre fronti. Il primo è quello monetario, sul quale gli analisti si attendono ulteriori giri di vite del credito nei prossimi mesi, sia sotto forma di nuovi rialzi della riserva obbligatoria che di altri aumenti del costo del denaro.
Il secondo è quello delle aspettative d'inflazione che, attivando un perverso meccanismo psicologico, alimentano la spirale rialzista dei prezzi. «I nostri listini estivi scontano già abbondantemente l'inflazione attesa nei prossimi mesi», spiega il dirigente di una multinazionale alimentare.
Il terzo è quello su cui Pechino ha minor poter d'intervento: l'inflazione importata con cui la Cina si trova a fare i conti per effetto dei suoi massicci acquisti di energia e materie prime sui mercati mondiali.
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19/03/2011
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