La Cina ha drammatizzato senza bisogno la vendita di armi americane a Taiwan, ripetendo lo stesso errore col Giappone per la decisione di trattenere un peschereccio cinese. Per non dire del nervosismo dimostrato per la concessione del Nobel a un suo dissidente, Liu Xiaobo. Pei inclina a pensare che per quanto queste prove di nervosismo, e quindi di debolezza, riflettano la natura autocratica del regime cinese, tuttavia esso sia orientato al pragmatismo. E spera in qualche aggiustamento. Tuttavia resta il fatto che anche il soccorso offerto agli europei durante la crisi finanziaria si sia legato a velate minacce e reprimende per i reclami degli industriali europei contro la concorrenza sleale cinese. E Orville Schell, direttore di un altro importante centro di ricerca dell'Asia Society di New York, resta preoccupato.
Né migliorano la situazione i centri di ricerca orientali, come quelli di Singapore, dove studiosi come Mahbubani, attribuiscono soltanto all'invidia dell'Occidente il recente surriscaldarsi delle relazioni con la Cina. Fatto sta che la Cina potrebbe dover presto fronteggiare dei guai proprio in quella economia che più inorgoglisce ormai un'Asia che si sente in rivincita. La crescita indotta da investimenti statali e il tasso di cambio, hanno creato un grande accumulo di inflazione compressa e di ingiustizie sociali che prima o poi presenteranno il loro conto alla autocrazia cinese. Una più severa tassazione degli immobili pare troppo poco per sanare questa delicata situazione. Il controllo statale sulle banche, le tensioni tra le aree geografiche interne, la disputa sul cambio con gli Stati Uniti, configurano tutte degli esiti futuri più complicati di quanto l'eccesso di orgoglio cinese non voglia ammettere.
di Geminello Alvi
Geminello Alvi è economista, autore di libri come "Le seduzioni economiche di Faust" e "Il Secolo Americano".
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