Ancona, 05 mag. - La Cina è il secondo produttore mondiale e il primo consumatore mondiale di cereali e può certo dirsi per essi ancora in gran parte autosufficiente. Tuttavia la capacità di provvedere a un consumo di cereali in crescita dal 1980 sta visibilmente arrivando al limite. I mutamenti della dieta, e dunque la crescita in essa della carne, che per essere allevata intensivamente richiede consumi maggiori di cereali; il diffondersi di consumi in stile occidentale e la preferenza in voga per i cibi di frumento rispetto a quelli di riso; la riduzione enorme di 8 milioni circa di ettari della superficie agricola riconvertita all'edilizia e quindi alla speculazione; la fine della crescita delle rese e della produttività nelle regioni più fertili configurano uno scenario in veloce mutamento.
Non a caso da alcuni mesi tornano gli allarmi per le difficoltà meteorologiche che possono indebolire la produzione in particolare di frumento. E alla più parte degli analisti pare scontato che nei prossimi anni l'autosufficienza della Cina nella produzione di frumento verrà meno, com'è già per il granturco e la soia. Fino al 1995 la Cina era un'esportatrice netta di soia, poi le sue importazioni sono cresciute superando la produzione interna tanto che nel 2010 la Repubblica popolare ha attirato il 58% delle esportazioni mondiali di soia. E se nel 2003 ancora da essa si esportavano 16 milioni di tonnellate di granturco, nel 2010 se ne è importato un milione e mezzo. La prossima fine della autosufficienza cinese nel frumento è del resto tema cruciale e non soltanto per questioni di potenza militare o geopolitica.
Se la Repubblica popolare dovesse infatti coprire per esempio il 5% dei suoi consumi di frumento all'estero, la cifra corrisponderebbe ad una crescita che coprirebbe il 4,7% circa dell'intero mercato mondiale. Inevitabile una pressione sui prezzi, che è del resto la stessa tendenza che sta erodendo il più potente movente della crescita cinese. Essa è stata nutrita come già quella delle tigri asiatiche da manodopera a buon prezzo e abbondante. Ma il migliorare dei prezzi agricoli sta ormai rallentando il suo deflusso nelle città ed elevando i salari minimi, in aumento annuale del 20% in molte città più ricche della costa. Al tasso di cambio amministrato e i capitali importati, e sempre peggio sterilizzati dalla politica monetaria, si somma pertanto un'altra non meno potente causa d'inflazione. In conclusione l'aumento e il mutarsi dei consumi interni si configura come un processo di molto più complicato da amministrare, rispetto all'esorbitante crescita degli investimenti portati in stile sovietico a pesare circa la metà del PIL.
di Geminello Alvi
Geminello Alvi è economista, autore di libri come "Le seduzioni economiche di Faust" e "Il Secolo Americano".
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