Pechino, 19 mag.- Quando in giornata sono emersi maggiori particolari sul ferimento di 13 studenti avvenuto la notte scorsa in un istituto professionale di Haikou, capitale della provincia meridionale di Hainan, l'opinione pubblica cinese più attenta ha quasi tirato un sospiro di sollievo: stavolta non si è trattato di un singolo aggressore, ma di un gruppo di ragazzi di un villaggio vicino che voleva vendicarsi degli studenti dopo una lite. Il culmine di un litigio, insomma, che sembra inquadrabile in categorie molto più familiari rispetto a quelle degli attacchi alle scuole materne che negli ultimi mesi hanno sconvolto la Cina, dato che solo qualche mese fa la stessa isola di Hainan era stata teatro di un'enorme rissa tra abitanti di villaggi vicini, conclusasi con decine e decine di feriti e l'intervento dell'esercito. Ma se i ferimenti di Haikou non rappresentano l'ultimo capitolo dell'epidemia di aggressioni iniziata nel marzo scorso, quella fetta di Cina che usufruisce maggiormente dei media inizia a interrogarsi: che cosa dicono questo tipo di attacchi sul tessuto di un paese? Il bilancio di quattro assalti ad istituti scolastici ad opera di solitari armati è di 16 morti e più di una settantina di feriti nel giro di due mesi. "La figura dell'uomo col fucile che spara sulla folla è americana quanto la torta di mele" scrisse Stephen King in uno dei suoi primi romanzi, parafrasando la frase di un altro romanziere statunitense, Edward Abbey: King, forse non a caso, è l'autore di quell'"Ossessione" ("Rage") che racconta del massacro di insegnanti e compagni di classe ad opera di uno studente emarginato, con largo anticipo su Columbine e altri casi simili; un romanzo che venne ritirato con il consenso dello stesso scrittore per evitare effetti di emulazione. E, come spesso accade su altri fronti,dall'economia agli stili di vita, i media cinesi hanno fatto scattare il paragone con l'altra sponda del Pacifico: se i massacri nelle scuole USA venivano attuati principalmente da studenti in cerca di una qualche forma di rivalsa verso bersagli coi quali avevano qualche rapporto, gli autori degli attacchi cinesi sono quasi tutti uomini adulti, con alle spalle delusioni lavorative e problemi mentali, che attaccano le fasce più deboli, che rappresentano il futuro della nazione, per sfogare tutte le loro frustrazioni . Per avere il parere di un esperto i media stranieri devono affrontare una lunga serie di trafile burocratiche; giornali, TV e psicologi sono consapevoli di maneggiare un argomento potenzialmente incandescente, e in tutti gli interventi pubblici si registra un tono simile: la società cinese ha sicuramente dei problemi che potrebbero costituire l'origine delle psicosi, ma le cause dei massacri sono, in ultima analisi, individuali. "La società è caratterizzata da aspetti che non si conformano ai nostri desideri; ritengo che in tutti questi casi siano presenti delle ragioni riconducibili alla società, ma non sono le uniche, e non possono escludere le ragioni individuali" ha dichiarato ad alcuni media cinesi Li Meijin, esperta di psicologia criminale presso la Chinese People's Public Security University di Pechino. Li ha analizzato nello specifico il caso di Zheng Minsheng, l'uomo che alla fine di marzo diede il via agli attacchi, uccidendo 8 bambini in una scuola del Fujian; 42 anni, ex chirurgo licenziato per evidenti problemi mentali, Zheng è stato giustiziato il giorno del secondo attacco. "Il Sig. Zheng presenta il classico profilo psicologico del killer che ha sofferto per un trauma psicologico e che non ha avuto nessuno al suo fianco a prendersi cura di lui"ha scritto Li Meijin. "Soffriva sicuramente dal punto di vista affettivo e non aveva una casa. Ma una delusione d'amore e l'essere senzatetto non sono le ragioni per commettere un crimine: moltissimi poveri non possiedono un'abitazione, ma hanno solide relazioni familiari. Penso che, nel caso del Sig. Zheng, sia il suo sistema familiare ad avere dei problemi. Se dalla sua famiglia avesse ricevuto sostegno e aiuto, se le sue relazioni fossero state serene, non avrebbe manifestato un comportamento instabile". Ma un sondaggio indetto dalla versione online del quotidiano cinese "Global Times" rivela come gran parte di un vasto campione di internauti la veda in maniera radicalmente diversa dalla psicologa: ben il 64% ritiene che la causa principale vada individuata nell'eccessiva sperequazione economica, mentre solo il 19% imputa i massacri a problemi individuali. I dati diffusi a marzo dall'Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino mostrano effettivamente che in Cina le campagne e le città non sono mai state così distanti: nel 2009 il reddito medio di un residente urbano si è attestato a quota 17.175 yuan (circa 1800 euro) contro i 5153 yuan percepiti da un abitante delle zone rurali, un rapporto di 3.33 ad 1 che segna la più ampia disparità mai registrata dal 1978, l'anno in cui vennero varate le prime riforme economiche. Molti opinionisti, figura che non manca neanche in Cina, hanno chiesto una maggiore censura sui media per evitare l'effetto emulazione; un argomento che alcuni giornali rigettano completamente: "Il resoconto giornalistico alza il livello di attenzione, esercita una certa pressione sulle autorità affinché prendano dei provvedimenti, spinge ciascuno a riflettere sui problemi della società,- ha scritto il giornalista Zhang Pin - può portare a atti di emulazione, ma anche prevenirli". Le autorità hanno aumentato a dismisura i controlli sulle scuole e l'ex ministro della Pubblica Sicurezza Zhou Yongkang, oggi membro della Commissione Permanente del Politburo, ha esortato i funzionari del Partito a mantenersi in contatto continuo con le comunità locali, per "conoscerne le opinioni e dare una risposta alle lamentele dei cittadini". "Dobbiamo affrontare i problemi sociali, risolvere le dispute e rinforzare le mediazioni a livello della gente comune" ha detto il premier Wen Jiabao, fedele al mantra della "società armoniosa". Ma si moltiplicano anche le richieste di maggiori investimenti nella prevenzione: secondo uno studio ufficiale dell'anno scorso sono almeno 173 milioni gli adulti cinesi afflitti da qualche forma di disturbo mentale; di questi, il 91% non ha mai ricevuto alcun aiuto di tipo professionale. E l'opinione pubblica più accorta non vuole trovarsi un giorno a scoprire che l'uomo col coltello che attacca le scuole è "cinese come un piatto di jiaozi".
di Antonio Talia e Giulia Ziggiotti
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