La causa della scarsità di carbone e dei cali nell'erogazione di energia elettrica che stanno attanagliando la Cina? Secondo un giornale di Partito, il Guangzhou Daily, una delle motivazioni della crisi andrebbe ricercata nella controversa privatizzazione delle miniere dello Shanxi, da sempre il serbatoio naturale di carbone per il resto del paese. La scorsa settimana le province di Henan. Hubei, Hunan, Jiangxi e Sichuan e la municipalità di Chongqing sono state sottoposte a un razionamento dell'elettricità, mentre praticamente in tutte le altre province si è assistito a cali di tensione. Secondo l'emittente di Stato CCTV e altre fonti ufficiali le ragioni della penuria di carbone per rifornire le centrali elettriche sarebbero molteplici, dai problemi di distribuzione –dovuti ai blocchi subiti dai treni a causa delle incessanti nevicate - fino a una ripresa economica più veloce del previsto e all'aumento della domanda, motivato dalle temperature di parecchi gradi inferiori allo zero. Ma il polemico articolo del Guangzhou Daily racconta una verità diversa: secondo il quotidiano di Canton le due più importanti centrali elettriche di Taiyuan - il principale centro di raccolta del carbone dello Shanxi- sarebbero in possesso solo di un quinto delle riserve di carbone accumulate in condizioni normali, una scorta sufficiente solamente per due giorni. Secondo un funzionario della Centrale Elettrica n.2 di Taiyuan, nelle scorse due settimane tutti i manager si sarebbero recati in Mongolia Interna e in altri due centri dello Shanxi, Datong e Yangquan, alla disperata ricerca di carbone da acquistare e trasportare a Taiyuan. Per quale motivo? Secondo il Guangzhou Daily la maggior parte delle miniere dello Shanxi sono quasi inattive, e nella zona sotto l'amministrazione di Taiyuan addirittura solo 2 o 3 degli impianti minerari sarebbero in funzione; alle origini della paralisi ci sarebbe la ristrutturazione varata dalla provincia l'anno scorso, che ha condotto alla chiusura per ragioni di sicurezza della maggior parte dei piccoli filoni minerari e all'incorporazione degli altri sotto la gestione delle grandi imprese a proprietà statale. Nei progetti originari, al termine della riforma solo 1053 delle 2600 miniere attualmente presenti nella regione rimarranno in attività, ma la posizione del quotidiano cantonese è stata rafforzata da un autorevole economista come Hu Xingdou, secondo il quale è necessario un robusto intervento da parte del governo centrale: "Il carbone è un pilastro dell'economia cinese e non appartiene solo allo Shanxi – ha detto Hu al quotidiano di Hong Kong South China Morning Post – per questo Pechino, e in particolare la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme, dovrebbe prendere il controllo della situazione e assicurarsi che vi sia un'adeguata produzione di elettricità". "Molte zone stanno continuando a utilizzare il metodo di produzione controllata del carbone per mantenerne il prezzo artificialmente alto" ha dichiarato il ricercatore della rivista Energy Li Chaolin al programma della CCTV Economic 30 Minutes, sottolineando che effettivamente i costi del carbone sono aumentati del 50% negli ultimi sei mesi. Secondo molti analisti indipendenti, insomma, la riforma varata dallo Shanxi sarebbe un'altra via, utilizzata dagli stakeholders già esistenti, per mantenere un controllo sui prezzi e una sorta di monopolio di fatto su questa risorsa fondamentale. La situazione, probabilmente, attirerà presto l'attenzione di Pechino, vista la stretta relazione che intercorre tra la stabilità dell'economia cinese e gli approvvigionamenti di carbone: secondo uno studio pubblicato nel 2009 dall'Università di Berkeley, infatti, la Cina non potrà ridurre la sua dipendenza da questa risorsa in tempi brevi. Il dossier, intitolato "China's Coal: Demand, Constraints and Externalities", a firma dei ricercatori Nathaniel Aden, David Fridley e Nina Zheng, sottolinea che le imponenti mosse varate dal governo centrale per favorire nucleare ed energie rinnovabili non hanno invertito la prepotente marcia delle centrali a carbone. Il carbone fornisce alla Cina il 70% del suo fabbisogno energetico, contro il 44% registrato negli USA: "La sostituzione (del carbone) con altre fonti d'energia è una questione di scala: rimpiazzare un anno della recente crescita della domanda di carbone pari a 200 milioni di tonnellate richiederebbe 107 miliardi di metri cubi di gas naturale (contro i 13 miliardi di crescita registrati nel 2007), 48 gigawatt di energia prodotta con centrali nucleari (contro i 2 gigawatt del 2007), oppure 86 gigawatt prodotti con centrali idroelettriche (contro i 16 gigawatt registrati nello stesso anno)" si legge nel rapporto dei ricercatori di Berkeley. Nonostante gli sforzi per applicare tecnologie "pulite" anche alle centrali a carbone (che secondo un altro studio ad opera del Massachussets Institute of Technology nel 2007 coprivano ben 270 gigawatt di capacità energetica), insomma, il carbone resterà il pilastro del sistema energetico per lungo tempo.
Antonio Talia